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Parigi, Francia. Strage nella redazione del giornale satirico Chalie Hebdo. Dodici morti nell’attentato che scuote l’Europa

9 Gen

 

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(pubblicato su http://www.di-roma.com)

L’11 settembre della libertà di stampa seppellito sotto valanghe di parole scritte, la lucidità e l’obiettività necessarie sono da ritrovare per soddisfare il diritto-dovere di fare informazione, per giungere alla verità e per un’azione efficace contro il ripetersi di simili azioni. L’esecuzione spietata di giornalisti e vignettisti della redazione del Charlie Hebdo, la lunga serie di arresti che ancora continuano, l’individuazione dell’identità dei due assassini e il probabile scagionamento del 18enne Amid Mourad che durante il massacro era al liceo: forse vittima di un caso di omonimia. Tanto da raccontare, ancora di più per riflettere

Il primo servizio che ricostruisce in maniera precisa quanto è accaduto, arriva pochi minuti prima delle tre del mattino dell’8 gennaio, su Sky. Alcune manciate di secondi, con tanto di piantina tridimensionale. All’inizio sembra un racconto di ordinaria normalità che diviene straordinaria follia nel tempo di un battito di ciglia. Fino ad un attimo prima poteva essere la consegna di un mazzo di fiori , con tanto di indirizzo sbagliato, l’autista che dimentica i documenti in macchina, con la testa in chissà quali pensieri svagati. L’11 settembre della libertà di stampa già viene seppellito sotto valanghe di parole scritte con troppa facilità, con il solo intento di cavalcare le emozioni del momento. Cercare di rimanere lucidi e obiettivi è il solo modo di onorare il diritto ed il dovere di fare informazione.

Dodici morti, di cui due poliziotti – uno finito quando era a terra, sul marciapiede – otto feriti.

La Francia ha visto attentati con bilanci ancora più duri eppure questo tramortisce immediatamente l’opinione pubblica e provoca una reazione internazionale di condanna unanime, mondo islamico compreso, per le modalità e l’obiettivo: non un attentato dinamitardo ma un commando a mitra spianati – la prima associazione di idee è quella con la strage di Utoya, nell’agosto del 2011 in Norvegia, quando Anders Breivik, sparando all’impazzata con un fucile automatico in un campo organizzato dalla Lega dei giovani Lavoratori, uccide sessantanove giovani – poi il luogo, la sede di un giornale satirico, il Charlie Hebdo, a pochi passi dalla Tour Eiffel.

Mentre sparano, i due attentatori chiamano i nomi delle loro vittime e urlano “Allah Akbar”. Sembrerebbe, forse lo è, una vendetta per le vignette pubblicate dal settimanale satirico, molte delle quali raffigurano il Profeta o argomenti tabù per gli integralisti, come ad esempio la vignetta in cui sono raffigurati due uomini in abiti orientali che si baciano sulla bocca.

Scorrendo sul web le copertine più popolari del magazine (sito web del Charlie Hebdo oggi in veste commemorativa), si trova anche il Premier Hollande, fresco di sexy scandalo e fedifrago, raffigurato con il pene fuori dai pantaloni il quale risponde, al posto del proprietario, di essere lui il presidente. Non sono stati risparmiati neppure il Papa e le altre gerarchie religiose. D’altra parte la satira è questo, chi non la accetta può sempre ricorrere alle vie legali e il giornale, il cui primo numero uscì nel 1970 all’indomani della morte del Generale De Gaulle, di cause ne ha avute molte, tanto da dover chiudere dopo più di cinquecento numeri, nel 1981, salvo ritornare in edicola dieci anni dopo. I primi problemi con il mondo islamico iniziano nel 2006, con le prime minacce, due attentati, un incendio e un attacco informatico.

Il commando, dopo aver compiuto la strage, abbandona la Citroën‎ con cui erano arrivati nei pressi della redazione e riesce a fuggire.

All’interno dell’auto viene rinvenuta incredibilmente una patente, che consente di risalire all’identità dei tre attentatori e all’abitazione di due di loro, a Reims. Sarebbero due fratelli, Saïd e Chérif Kouachi (nella foto), già segnalati come gravitanti nell’orbita dei fondamentalisti, reduci dalla guerra in Siria e un diciottenne senza fissa dimora. Tutti di origini franco-algerine, non immigrati irregolari quindi, ma membri della società, cittadini francesi, anche se rimane ancora da capire se ne sono ai margini oppure no.

I gruppi speciali circondano il centro di Reims con l’intento di catturarli il prima possibile, possibilmente vivi. Il diciottenne in nottata si consegna spontaneamente alle autorità di polizia vicino al confine con il Belgio: durante la strage era a scuola, quindi non sarebbe la persona giusta, forse un caso di omonimia.

Immediate le manifestazioni di solidarietà nelle maggiori città europee, con manifestazioni di piazza nei dintorni delle sedi delle ambasciate  e dei consolati francesi.

La Francia e l’intera comunità internazionale continuano a ripetersi che si è trattato di un gesto compiuto da individui isolati, fanatici fondamentalisti e non da una cellula organizzata di terroristi. Per la prima volta, vi è la condanna unanime dai governi islamici e delle autorità religiose musulmane.

Il rischio che si inneschi un clima di terrore, con tutte le conseguenze prevedibili, è altissimo. Se ne scorgono già le prime avvisaglie sulla stampa. Porsi delle domande, oggi, è più che mai importante.

Luciana Miocchi