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Riccardo Corbucci – foto di repertorio

Riccardo Corbucci, già assessore al bilancio e alla scuola, nonché presidente del consiglio del III Municipio e chiamato insieme ad altri giovani a sostenere il partito romano dopo la crisi scatenatasi con la caduta del Sindaco Marino, è capolista della mozione Martina nel collegio che riunisce i municipi III e IV alle primarie che sceglieranno il Segretario del Pd e i rappresentanti all’ assemblea nazionale, che si terranno domenica tre marzo dalle 8 alle 20. I tre candidati alla carica di Segretario del Partito Democratico, oltre a Maurizio Martina, ex Ministro e segretario reggente fino al novembre del 2018, sono Nicola Zingaretti, attuale governatore della Regione Lazio e Roberto Giachetti, ex candidato Sindaco di Roma e deputato della corrente legislatura. Tre candidature di grande caratura per una figura che dovrà cercare di riconquistare delusi, astenuti e possibilmente ricompattare attorno a se le varie sfumature della sinistra.
Perché è convinto che Martina sia la risposta giusta per il Partito Democratico?
Perché dopo troppi anni di leaderismo abbiamo bisogno di un segretario che sappia fare l’allenatore e non il goleador, che sia in grado di scegliere le energie migliori, metterle a lavorare assieme e soprattutto che giochi per far girare bene tutta la squadra. La storia politica di Martina corrisponde a questo profilo e i suoi mesi da segretario hanno già segnato una discontinuità rispetto al passato, con gesti fortemente simbolici come la visita alla nave Diciotti, alla Seawatch, all’ILVA di Taranto e a Genova dopo la tragica caduta del ponte Morandi. Il partito di Martina è quello popolare, che va dove ci sono i problemi e non si arrocca sui social a smontare le post verità degli altri.
Martina però è accusato di avere poco appeal. 
Purtroppo le ultime primarie hanno generato confusione. Spesso si è cercato di legittimare il ruolo di premier invece di individuare la figura di segretario del partito. Queste primarie servono ad eleggere il segretario del Pd e non il futuro candidato presidente del consiglio. Sono due figure profondamente diverse che si sono confuse, ingerenando una grande difficoltà nell’elaborazione delle linee politiche. Faccio un esempio: quando il governo Renzi ha deciso la riforma della scuola, i parlamentari e i dirigenti di partito hanno sposato la linea del governo. Non c’è stato un luogo fisico fuori dalle aule parlamentari nel quale poter ragionare della riforma, magari per migliorarla o modificarla prima della sua approvazione. In pratica non c’era nessuno che non fosse al governo, capace di interloquire con il variegato mondo della scuola. E questo è successo anche per altre riforme dei nostri governi. Molte leggi giuste non sono state adeguatamente fatte calare nella società, perché è mancata la funzione storica dei partiti, che è quella di mediare tra il potere esecutivo, legislativo, le parti sociali e i cittadini. Quando per primi noi abbiamo cancellato questa funzione, abbiamo aperto la strada al populismo grillino. Per sconfiggere il vento delle nuove destre è necessaria più politica e per dare più forza alla politica i partiti devono tornare a fare i partiti e non le tifoserie dei leader. Per questo il segretario del partito democratico deve essere una persona che farà questo difficile mestiere a tempo pieno, avendo come caratteristica principale quella di saper ascoltare e mediare.
Ma non è stato Renzi a commettere per primo questo errore?
È un errore che viene da lontano in realtà è che ereditiamo dalla cultura politica Berlusconiana. Tuttavia lo stesso Renzi ha ammesso che uno dei suoi errori principali è stato quello di “rottamare troppo poco”. Su questo voglio aggiungere che spesso gli è mancato il coraggio di delegare e di investire su una classe dirigente capace, che non aveva quale caratteristica principale l’età anagrafica, bensì l’esperienza di aver ben amministrato tanti territori. Renzi ha interpretato il ruolo di segretario nello stesso modo in cui aveva ben interpretato quello da premier. Tuttavia la caratteristica fondamentale di un segretario deve essere sempre quella di saper anteporre a tutto, la crescita della classe dirigente che vuole promuovere per governare il paese e le amministrazioni locali. È una delle ragioni per cui ho deciso di non sostenere Nicola Zingaretti, amministratore capace di vincere con la propria squadra per la seconda volta la Regione Lazio. È necessario completare il secondo mandato alla Regione per rispetto dei cittadini che ci hanno sostenuto e per non ripetere l’errore che fu di Veltroni, che abbandonando Roma ha contribuito a consegnarla per più di un decennio allo sbando politico e amministrativo.
Giachetti lo considera un outsider?
L’ho sostenuto come Sindaco di Roma, ma non credo abbia le caratteristiche necessarie per fare il segretario che serve oggi al Partito Democratico.
Le primarie aperte a chiunque, anche a chi non è iscritto non rischiano di rivelarsi uno sbaglio?
Le primarie sono aperte a tutti coloro che sottoscrivono la carta degli elettori del pd. I regolamento prevedono già che non possano votare eletti, candidati e dirigenti degli altri partiti politici. Cosa diversa sono gli elettori di quei partiti. Chiunque voglia contribuire a rigenerare il Pd domenica deve venire ai seggi per dare forza alla nostra opposizione alle nuove destre al Governo.
Come pensate di poter conquistare gli astenuti?
Occorre innanzitutto un partito che sappia parlare con una sola voce e abbia un’idea chiara su ciò che va fatto. Per me le priorità consiste nel rimettere al centro della nostra azione la ricerca della più equa giustizia sociale per ridurre la forbice della diseguaglianza. Ci sono due temi centrali che riguardano anche la nostra città. Il welfare e il diritto allo studio universale. Sul diritto allo studio occorre un modello che consenta a tutti i ragazzi di avere le stesse condizioni di partenza per accedere all’eccellenza dell’istruzione e della formazione, per garantire a chiunque di avere gli stessi strumenti per poter ambire all’ascensione sociale. Non bisogna ragionare di misure spot ma di modelli strutturali. Allo stesso modo serve un nuovo modello di welfare universale, davvero in grado di sostenere le famiglie sempre più in difficoltà. Per la prima volta le famiglie si trovano a dover gestire allo stesso tempo i costi sanitari del mantenimento della popolazione anziana sempre più longeva, le spese per i figli che escono da casa sempre più tardi ed anche i servizi per chi affronta una malattia o una disabilità di qualche tipo. Per far fronte a questa emergenza sociale non bastano più misure una tantum, ma serve un’azione di sistema.
Ci vuole coraggio a candidarsi alla segreteria del Pd e nelle strutture dirigenziali del Pd. In questo momento non è che sia molto popolare tra gli italiani. Eppure avete ben tre aspiranti alla carica di segretario e tantissimi sono i candidati all’assemblea nazionale. Non potendo chiederlo a tutti, lo chiedo a lei. Perché lo fa?
Intanto perché sono orgoglioso di essere del Pd, soprattutto in questo periodo storico in cui al governo c’è chi si bea di sequestrare in mare persone inermi, raccontando la balla che i nostri problemi derivino da loro. Sono orgoglioso che il Pd sia l’unica forza politica che si riconosca pienamente nella difesa della Costituzione e nell’opera della magistratura, sopratutto dopo che i cinque stelle ci hanno raccontato per anni della loro onestà, salvo barattarla per salvare Salvini e tenere le poltrone di qualche ministero. E sono orgoglioso che il Pd sia l’unico partito che seleziona la propria classe politica con votazioni trasparenti, aperte ai cittadini in carne ed ossa che non devono nascondersi nell’anonimato di qualche click. È una cosa resa possibile dalla grande comunità democratica di donne e di uomini la cui somma è molto più importante di qualsiasi leadership temporanea.

Luciana Miocchi