[Roma] Il resoconto sui furti in appartamento segnalati – senza smentita – in diverse zone del Terzo Municipio nelle ultime settimane somiglia a uno sconfortante bollettino di guerra: le testimonianze di chi è stato derubato trovandosi la casa devastata da delinquenti spavaldi che scassinano inferriate e porte blindate si susseguono con una progressione angosciante. Si è arrivati persino a scene da arancia meccanica, con una ragazza abitante in via Gaspara Stampa, nascostasi terrorizzata in un armadio mentre i banditi le rovistavano in casa nel pieno pomeriggio dello scorso 12 gennaio. In aggiunta a un quadro così angosciante, altri fatti criminosi come i frequenti furti di ruote e altre parti dalle automobili parcheggiate in strada o il maxicolpo presso un noto negozio di biciclette in via Delle Vigne Nuove, svaligiato per la seconda volta nel giro di pochi mesi (cui si riferisce l’immagine sulla destra). Sul tema interviene da esperto Francesco Maria Bova, oggi capogruppo della Lega in Terzo Municipio e per anni dirigente alla guida del commissariato Fidene Serpentara: «La recrudescenza dei furti è un problema serio, non può essere considerato un reato minore in quanto invadendo la sfera intima diventa particolarmente invasivo e che tocca la psiche di ognuno di noi…i ladri si sentono autorizzati a fare come vogliono tant’è che ultimamente entrano in qualsiasi ora del giorno con i proprietari all’interno senza nessuna remora». Il dottor Bova prosegue indicando alcune soluzioni: «Penso che la nuova normativa riguardante la legittima difesa potrebbe essere utile ma ci dovrebbe essere una maggiore attenzione da parte della magistratura per i recidivanti, dovrebbero essere trattati in modo più severo». Infine un suggerimento pratico: «Da parte delle forze di polizia vengono effettuati servizi di prevenzione ma considerata la vastità del territorio non è facile presidiare in modo efficiente e quindi è importante il ruolo dei cittadini e i condomini si sono organizzati, penso che sia da favorire questo tipo di aggregazione con chat per allarmare i vicini di eventuali presenze di persone sospette».
Alessandro Pino
(pubblicato su http://www.di-roma.com)
Si è messa male, anzi malissimo la situazione per le guardie giurate della sede romana della società Axitea e per le loro famiglie: letteralmente logorati da tempo per i disagi e l’ansia di lavorare in un istituto di vigilanza – in passato noto come Mondialpol Roma – che ha perso appalti storici uno dopo l’altro in seguito a una gestione criticata da molti, hanno avuto nei giorni scorsi una amara e definitiva conferma alle previsioni più nefaste sul loro destino. Il 15 maggio nella sede di via De Chirico si sono tenuti nella sede due incontri (uno la mattina, l’altro il pomeriggio) con i rappresentanti delle segreterie territoriali dei sindacati di settore (Mauro Brinati per la Fisascat Cisl, Barbara Di Tomassi per la Filcams Cgil e Sergio Ariodante per la Uiltucs Uil), presenti anche le rappresentanze sindacali interne all’azienda.
Probabile che i dipendenti – già passati attraverso diversi mesi di cassa integrazione, ora non più rinnovata – sperassero di ascoltare qualche notizia che lasciasse uno spiraglio di speranza. Forse si aspettavano di sentir proporre delle iniziative di protesta, di agitazione. Quando invece sono stati messi di fronte – dopo mesi nei quali si sono rincorse voci e supposizioni di ogni tipo su una qualche ripresa, amplificate anche dai classici e controproducenti meccanismi del passaparola – al fatto compiuto della decisione di procedere ai licenziamenti collettivi per quasi la metà del personale, la rabbia la delusione e la frustrazione sono montate rapidamente.
In concreto i sindacalisti hanno prospettato alle guardie giurate la scelta tra due opzioni non tanto diverse tra loro, visto che comunque di licenziamento si tratta. Unica differenza la possibilità di avere un incentivo di pochissime migliaia di euro (nel caso di un’uscita volontaria immediata) oppure niente (nel caso il dipendente volesse rimanere fino ai primi di settembre, periodo indicato inizialmente come quello in cui sarebbero partiti i licenziamenti coatti).
Praticamente traducibile in una scelta tra buttarsi dal primo piano di un palazzo in fiamme oppure dal decimo, senza possibilità di provare a spegnere l’incendio. Rabbia, delusione e frustrazione, come detto.
Si è provato quindi a chiedere spiegazioni su come sia stato possibile arrivare fino a quel punto, con una paradossale situazione di personale in esubero, a fronte di un bilancio societario in attivo. La laconica risposta è stata che si tratta di logiche dei fondi di investimento (come quello che ha la proprietà di Axitea) e poco ci si può fare. Responso che non è andato giù a parecchi dei presenti.
Nella riunione della mattina i toni si sono alzati rapidamente già da subito dopo un inizio poco felice nel quale la Di Tomassi aveva dichiarato abbastanza bruscamente di non voler essere ripresa per mezzo dei telefonini, come se – molti hanno osservato – quello fosse il problema principale. Era prevista una votazione per alzata di mano per decidere se dare mandato ai sindacati di accettare la proposta aziendale dell’uscita incentivata, in modo da permettere poi di fruirne ai singoli che lo avessero preferito. Non è stato possibile procedervi per il rapido accendersi dei toni; ovviamente si tratta di un eufemismo che viene usato per non creare ulteriori problemi a persone già nei guai fino al collo, ma chi c’era ha raccontato di aver visto in lacrime gente che in servizio era passata per le situazioni di degrado e rischio più totali e di aver udito urla e insulti scatologici all’indirizzo dei sindacalisti accusati apertamente non solo di avere fatto poco per tutelare i lavoratori ma di essersi venduti mandandoli allo sbaraglio.
Per evitare il peggio i delegati sindacali hanno preferito allontanarsi terminando in pratica con un nulla di fatto l’incontro, risultato che si è ripetuto nella sessione pomeridiana. Da queste premesse, nella riunione tenutasi il giorno dopo con i rappresentanti della Axitea si è convenuto di aspettare il 30 giugno per l’avvio dei licenziamenti, procedendo nel frattempo a un referendum interno riguardante sempre l’adesione all’uscita incentivata che avrebbe dovuto essere votata per alzata di mano.
In ogni caso, davanti alle guardie giurate della Axitea si è purtroppo aperto un vero e proprio baratro nel quale dover cadere per forza buttandocisi volontariamente o aspettando che il terreno frani sotto i piedi: il baratro della perdita del lavoro, del non sapere cosa mettere in tavola per sé e i propri familiari. Ma di questo evidentemente anche ai media nazionali importa poco, visto che – a differenza di altre situazioni – non si è visto lo straccio di una telecamera o di un microfono.
In casi del genere anche la visibilità e la solidarietà che ne consegue servono a dare un minimo di conforto; tocca constatare con amarezza che sono mancate anche quelle.
Luciana Miocchi