È passato già più di un anno dalla tragica morte di Miriam Sermoneta. La ragazza, che di lavoro faceva la guardia giurata, fu trovata morta nella propria abitazione nei pressi di Tivoli la sera del 24 marzo 2012. Si era sparata un colpo al cuore con l’arma di servizio, subito dopo avere manifestato le proprie intenzioni suicide ad un collega col quale stava chattando. Vicino al suo corpo ormai senza vita, una breve lettera, quasi a mo’ di seguito di quella aperta che aveva scritto al Presidente della Repubblica tempo prima, con la quale denunciava il disagio personale di donna che lavorava in un ambiente ancora troppo maschile e a volte maschilista e di una categoria, quella dei vigilantes, pressoché inesistente giuridicamente, mal retribuita e poco considerata, dal lavoro fatto di disagi, pericoli e precarietà di ogni genere, ultima in ordine di tempo la cassa integrazione, istituita dalla società per cui lavorava, la Axitea ( una volta Mondialpol Roma) e piovutagli addosso con l’effetto di un fulmine a ciel sereno.
Il clamore suscitato da quella morte solitaria fu enorme e per qualche giorno ci fu il solito italianissimo polverone di buoni propositi, intenti di riforma, trasmissioni sulle radio locali. Poi, come era facilmente prevedibile, tutto si esaurì nell’indifferenza più totale, la stessa che doveva aver contribuito alla sciagurata decisione di premere il grilletto. Quest’anno, solo pochi mesi dopo, quasi nessuno si è ricordato dell’anniversario di Miriam e i suoi suoi colleghi dell’istituto di vigilanza sono nelle stesse condizioni di allora, con lo stesso destabilizzante senso di ipotenza. Dopo la cassa integrazione a rotazione ora si rincorrono le voci, sempre più insistenti e angoscianti, di una possibile messa in mobilità – un modo più diplomatico di dire perdita del lavoro – per parte del personale.
Luciana Miocchi