Scendono in piazza per difendere i propri figli, dicono. Ma difendere da chi?
Casomai è il contrario: chi difende i figli altrui da loro, la loro lobby, le loro leggi? Se si estendono i diritti a tutti, non li si leva a chi già li ha, ma si fa in modo che altri ne possano beneficiare. Bloccare arbitrariamente questo processo è un sopruso e i soprusi non attengono alla democrazia, né all’eticità a cui certi bigotti moralisti dicono di richiamarsi. Cosa chiedono esattamente questi manifestanti? Qual è la loro proposta politica?
Vogliamo una nuova serie di norme come quelle sulla fecondazione assistita che la Consulta ha smontato pezzo pezzo perché contrarie al buonsenso prima che al dettato della parte prima della costituzione? Vogliamo che i figli di una coppia di fatto non abbiano da un punto di vista legale nonni e zii solo perché colpevoli di essersi scelti dei genitori non sposati? Fino a pochissimo tempo fa era così qui in Italia, se fossero morti i genitori, i figli sarebbero finiti in istituto e non con nonni o zii, perché essendo figli “naturali” non avevano diritto ad avere una famiglia. E perché tutto questo? Mah, io di figli innaturali non ne ho mai conosciuti!
Ma c’è dell’altro, il dissidio è più profondo, qui siamo difronte a un clima pre-derby, prodromo di una guerra (in)civile che gli ultras di ambo le parti forse desiderano per affermare una volta per tutte la propria presunta supremazia sull’altro. È così che una battaglia di civiltà diventa qualcosa di incivile, perché ogni forma di “orgoglio” e autoaffermazione di superiorità innalza un muro, crea distanze, acuizza scontri e divergenze. C’è chi si richiama a Dio, chi al libero amore, poi si finisce a prepararsi allo scontro: pacifismi belligeranti. Questo è il metodo sbagliato, si deve discutere e trovare dei punti di equilibrio, non fare un muro contro muro. Vogliamo la guerra “family day” contro “gay pride”? E a chi giova?
Non bisogna prender parte in questo genere di polemiche, per non restarne invischiati. Però alcune considerazioni vengono spontanee. Leggo con apprensione delle retrive paure di chi ha organizzato la manifestazione di ieri. Sono battaglie di retroguardia, anacronismi. Non sono in grado di dire come cresca il figlio di un gay, ma so che le lesbiche i figli li fanno e se li crescono da sole (o con la compagna) e so di ottimi padri gay che fanno coming out dopo un matrimonio infelice. Inoltre, non capisco la paura verso questo cosiddetto metodo gender: è un problema che non esiste, come non esiste nessun complotto gay e non deve esistere nessun figlio di serie B. Esiste solo chi vuole limitare i diritti altrui e chi chiede di avere gli stessi diritti dell’altro, senza metterne in discussione nessuno. Posta così, voi da che parte stareste? Con chi non vuol concedere senza dover rinunciare, o con chi chiede senza voler togliere niente a nessuno? La verità è che non è un matrimonio a render qualcuno idoneo ad avere una famiglia, non è l’eterosessualità a dare la patente di dignità ad una persona (men che meno come genitore), e un bambino non sta meglio in un orfanotrofio che adottato da un genitore single (etero o gay che sia). Chi pensa che ponendo divieti si risolvano problemi finge di ignorare che gli stessi vengono aggirati andando all’estero e facendo spendere soldi a chi li ha (utero in affitto, ad esempio) e discriminando chi non li ha. Che poi, cos’è questo metodo gender? Spiegare ai bambini che esiste l’omosessualità? Qual è la paura, che i nostri figli sapendo che esiste possano esserne tentati? L’omosessualità in Italia esiste esattamente come in ogni parte del mondo, è la condizione esistenziale di milioni di persone, tutte figlie di un uomo e una donna (forse erano poco convincenti sull’identità di genere da dare ai propri figli? Dunque è colpa loro?) e venute su in un contesto “ostile”. Ai tempi miei, a scuola li chiamavamo “Ricchioni” e li prendevamo in giro. Qualcuno si è suicidato per questo. Qualcun altro s’è finto etero, vivendo una vita non sua, infelice lui, infelice la moglie, infelici i figli. Questo è il metodo gender che vorrebbero lor signori? Lasciamo solo chi è diverso, si adeguasse, o peggio per lui? Oggi il gay, domani lo zingaro, poi il testimone di Geova, quindi l’Asperger dopodomani chissà chi. Nella storia ci fu già un capopopolo che giustificò l’emarginazione del diverso in nome di presunti complotti volti a indebolire la società: si chiamava Hitler, dopo 70 anni dalla sua morte se ne parla ancora, ma non credo sia un modello politico da seguire.
Sul Family Day a Piazza San Giovanni – di Cherubino Di Lorenzo
26 GiuGrillo e l’immigrazione, una riflessione – di Cherubino Di Lorenzo
14 Ott
Ora pare che tutti i sodali ce l’abbiano con Grillo per la propria posizione sull’immigrazione: giornalisti, intellettuali e contestatori di professione, finora apostoli del messia di Sant’ Ilario, sgomenti dicono “adesso Grillo sta sbagliando”. Nessuno prende in considerazione l’ipotesi di essersi sbagliato su Grillo. Grillo non è impazzito all’improvviso, Grillo è così. Da sir Francis Bacon in avanti, filosofi e politologi ci insegnano quanto sia facile individuare le criticità di un sistema (la pars destroens) ma quanto sia complesso emendarle (la pars costruens). È come un sottile fil rouge che parte dalla rivoluzione francese (si decapitò un re per instaurare il Terrore, far salire al potere un sedicente imperatore, restaurare la monarchia), e arriva al leghismo (stereotipizzazione delle criticità, semplificazione delle soluzioni), passando per terrorismo, qualunquismo, fascismo, real socialismo, comunismo, autoritarismo, ecchissacosaltrismo. Grillo sembra tanto l’ennesimo anello di una catena basata sulla suggestione delle masse di esclusi, succubi e sudditi di un sistema malato, è così difficile ammetterlo?
Cherubino Di Lorenzo
