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Campo di Giove: il Comune chiede il ritorno dei treni passeggeri ordinari

26 Feb

[CAMPO DI GIOVE- AQ] Con il voto favorevole dell’amministrazione comunale e l’astensione dei consiglieri di minoranza, è stata deliberata dal Consiglio comunale di Campo di Giove la volontà di chiedere formalmente alla Regione Abruzzo, Trenitalia e Rfi il ripristino della linea ferroviaria denominata Sulmona-Castel di Sangro- Carpinone per il trasporto ordinario dei passeggeri.

La positiva notizia è apparsa sulla pagina social del Comune di Campo di Giove.

Dopo la dissennata chiusura nel 2011 della gloriosa linea ferroviaria che aveva rappresentato il più importante elemento di collegamento, occupazione e sviluppo per il paese, l’associazione “Le Rotaie” e la Fondazione Fs Italiane hanno restituito, negli ultimi anni, una “seconda vita” a questa storica linea ferrata inserendo la cosiddetta Transiberiana d’Italia nello straordinario progetto “Binari senza Tempo”.

Nononostante questo, la dismissione permanente delle corse ordinarie ha comportato il venir meno di un importante servizio pubblico di collegamento per la popolazione e per tutti i paesi delle aree interne già colpiti da complesse dinamiche di spopolamento e di isolamento. Un servizio, è bene ricordarlo, che garantiva i collegamenti anche con il paese coperto dalla neve e le strade bloccate ed era frequentatissimo da residenti e villeggianti, con corse dalla mattina presto a tarda sera ogni ora nelle due direzioni.

Il ripristino della linea e il potenziamento del traffico ordinario, oltre che turistico che ne conseguirebbe, è ritenuto indispensabile per il Comune di Campo di Giove che, insieme ai Comuni dell’alto Sangro, sta portando avanti con determinazione il confronto istituzionale e politico sul progetto.

Con la consapevolezza che il percorso intrapreso sia lungo e complesso, la delibera del consiglio rappresenta un passo avanti verso l’obiettivo, un atto di responsabilità dell’amministrazione e un chiaro impegno affinché le istanze dei cittadini trovino ascolto e sostegno.
A cura di Alessandro Pino

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Addio al professor Raffaele Colapietra, solitario abitante dell’Aquila nei giorni del terremoto

27 Apr

[L’AQUILA] Era diventato celebre e ricercato dai giornalisti dopo essere apparso nel docufilm Draquila di Sabina Guzzanti in cui raccontava l’ostinazione con cui aveva voluto rimanere ad abitare nella sua casa dopo il terremoto del 2009 nonostante le insistenze della Protezione Civile, tra i suoi libri e gli amati gattini, vivendo praticamente da solo in una città deserta.

É mancato all’età di novantadue anni il professor Raffaele Colapietra, eminente storico aquilano; era stato docente di Storia moderna all’Università di Salerno fino al 1990, autore di numerosi saggi di storia sociale, sulle classi dirigenti meridionali nell’età moderna e contemporanea, sulla Napoli vicereale e su Masaniello oltre che di una ponderosa biografia politica di Benedetto Croce e naturalmente di scritti sulla sua città, ai cui abitanti comunque non risparmiava critiche, specialmente alla stragrande maggioranza che dopo il terremoto aveva accettato il trasferimento in massa negli insediamenti appositamente realizzati sul territorio circostante il capoluogo abruzzese.

Proprio della sua esperienza da abitante solitario della città ferita ci parlò quando lo incontrammo ormai più di dieci anni or sono, confermando la personalità di ruvido intellettuale emersa dall’intervista cinematografica.

Alessandro Pino e Luciana Miocchi

L’Aquila – anno IV D.T.

7 Apr

raduno fiaccolata - foto virale da Fb(pubblicato su http://www.di-roma.com il 6 aprile 2013)

La fiaccolata del ricordo ha avuto luogo a partire dalle 22, in anticipo rispetto agli anni precedenti. Il luogo del raduno era davanti alla Fontana Luminosa in piazza degli Alpini ed ha raggiunto piazza Duomo attorno alla mezzanotte, dopo essersi fermata davanti il cratere della casa dello studente, in via XX Settembre. Qui si sono aggiunti il ministro Barca il gruppo dei familiari degli operai morti nella fabbrica Tyssen e quelli della strage di Viareggio. Dopo la funzione religiosa, officiata dall’Arcivescovo Molinari, sono stati liberati nel cielo 309 palloncini bianchi a memoria delle vittime, mentre ne venivano letti i nomi, per ognuno un rintocco di campana. L’ultimo alle 3.32, ora della scossa devastatrice.

Intorno, il centro storico è ancora tutto un immenso puntellamento. I giunti metallici sono ormai opachi, i legni di sostegno mostrano chiaramente gli anni di esposizione alle intemperie, al peso della neve e alla potenza dilatatrice del ghiaccio.

I cantieri avviati sono ancora pochissimi, l’auditorium progettato da Renzo Piano è un puntino colorato e deserto nel parco del Castello cinquecentesco. Qui ancora la gente non torna. Fuori dalle mura la situazione è migliore, nei quartieri più esterni sono cominciate le demolizioni, le case meno danneggiate sono state riparate e ora mostrano intonaci riverniciati in colori da sorbetto psichedelico finora mai visti. I paesi intorno sono nelle stesse condizioni, con le erbe spontanee che piano piano guadagnano terreno tra le macerie, qualche stabile rimesso a nuovo, travi a contrasto, MAP un po’ dappertutto.

Ma chi può, va via da questa città, dove molte imprese che si erano prestate a lavorare nell’emergenza sono state costrette a chiudere perché i pagamenti delle lavorazioni non arrivavano, dove il terremoto ha dato il colpo di grazia ad un’economia che stentava a tenere il passo, vittima della crisi di diverse fabbriche storiche. Dove la soluzione delle new town – acclamata dai più con ovazioni di giubilo e avversata da pochi con lo sguardo lungimirante sul futuro più prossimo e anche su quello più lontano –  ha creato di fatto decine di dormitori non collegati né con il resto della città, senza servizi né luoghi di aggregazione, ha assorbito gran parte delle risorse stanziate lasciando solo poche briciole per la ricostruzione di un centro che a questo punto, essendo il progetto C.A.S.E. un progetto definitivo, forse non interessa nemmeno realizzare. Chi può immaginare, infatti, venendo da fuori, una popolazione che cala di anno in anno, stipata in condomini tirati su in fretta ma realizzati per essere permanenti, non eliminabili come le soluzioni provvisorie dei moduli M.A.P., tornare in un centro ricostruito, non più fantasma. A quel punto si avrebbero interi quartieri abbandonati, ché L’Aquila non è Milano, non è Roma, non attira nemmeno orde di immigrati, troppo freddo, poche speranze di lavoro.

In fin dei conti gli aquilani, prima dei soldi per la ricostruzione, necessari, perché senza di quelli i mattoni non si comprano, cercano parole. Quelle parole che dovrebbero venire dalle Istituzioni, capaci di accendere la speranza di poter tornare un giorno, ad avere una città da vivere, dove andare a fare le vasche in centro e non ripiegare sulle gallerie dei centri commerciali spuntati un po’ ovunque come funghi tra le maglie del provvisorio tutto si può fare dappertutto. Serve infatti una volontà politica che non sia finalizzata a mera passerella per ego da gratificare ma che sia capace di trovare la soluzione al danno arrecato alla vita di relazione e all’ambiente, che voglia riportare effettivamente gli abitanti in centro e non solo gli avventori di pochi esercizi commerciali riaperti con deroghe provvisorie.

Questa città invece, che va avanti volando un po’ alla cieca, non ha avuto la forza di avere pietà neppure per i suoi morti. Il cimitero monumentale semi abbandonato, transennato, quelli nelle frazioni lasciati a se stessi ché la priorità sono i vivi. Un solo esempio per tutti: in quello piccolissimo di Preturo, l’anno scolpito sulla pietra dell’ingresso lo data al 1870, c’è ancora la transenna provvisoria messa su quattro anni fa a causa di una lastra di un loculo non utilizzato, in terza fila, rimasta spezzata e in bilico sul vuoto. Sotto le tombe di due anziani, tenuti in ostaggio da quattro anni dai tondini e dalla rete di protezione. I fiori i familiari sono costretti a tirarli da lontano, con l’occhio fisso sul marmo pericolante. Non si trova il responsabile della rimozione.

“Mi fa male” di Luca Cococcetta – il trailer del corto inserito ne “L’epopea aquilana del popolo delle carriole”

25 Apr

Luca Cococcetta è un giovane e già premiato regista aquilano che ha dedicato diversi lavori al dramma della città, cioè tutto quel che è venuto dopo il 6 aprile. Perchè il  terremoto è stato semplicemente l’inizio…

Questo è il trailer del corto “Mi fa male” che è uscito allegato al libro “L’epopea aquilana del popolo delle carriole”, i cui proventi, al netto delle spese sostenute, sono stati destinati all’Assemblea cittadina per il sostegno finanziario delle iniziative promosse all’insegna della democrazia partecipata e trasparente.

http://youtu.be/j3ZulsCG8S8

Dice Cococcetta: “È un lavoro nato dall’ esigenza di partecipazione dopo due anni di terremoto. È un corto che parla delle imposizioni, di quello che è stato tolto agli aquilani: la loro autodeterminazione. Racconta la menzogna mediatica e la propaganda di regime messa in atto su un territorio martoriato, menzogna nascosta dal buonismo, dall’assistenziali-

smo forzato”. Le 18 new town, calate dall’alto senza partecipare nulla – in nome di un’emergenza che nove mesi dopo non era stata ancora in grado di partorire i prezziari necessari per la ricostruzione e il restauro di ciò che non era gravemente danneggiato – hanno polverizzato le relazioni interpersonali, distanti come sono tra loro, sparse un po’ ovunque nella conca aquilana e su per i centri montani. Per recriminare ormai è tardi, questa è la realtà. Una realtà che va raccontata.

Luciana Miocchi

All’Aquila si avvicinano le elezioni….comincia la campagna elettorale preventiva

20 Lug

spiegazioni alla classe politica

L’ultima creazione de “la locomotiva”, il moderno Pasquino che nessuno sa chi sia, nessuno sa dove si trovi. In una città immobile, dove qualsiasi decisione viene presa con molta, molta prudenza, comincia a montare una nuova consapevolezza. A più di due anni dal sisma che ha lasciato alla città e ai dintorni un’atmosfera da post bombardamento monta il malcontento per la mancanza di lavoro, di posti di aggregazione, di idea temporale di quando poter tornare alle proprie case…