
[ROMA] Meglio iniziare questa recensione cospargendosi il capo di cenere: perché il teatro dichiaratamente di avanguardia può essere visto con un misto di timore e sospetto da chi vi si avvicina da profano della materia, rassegnato a un ricovero al pronto soccorso con la mandibola slogata dagli sbadigli.
Ebbene non è stato così quando nei giorni scorsi siamo andati al Teatro Trastevere a vedere “Capitano Ulisse” diretto da Andrea Martella.
Un testo di Alberto Savinio risalente alla fine degli anni Venti che Martella ha saputo rileggere e portare in scena con grande successo, come testimoniano i ripetuti tutto esaurito durante i giorni di rappresentazione in una sala nemmeno tanto piccola come il Trastevere e le recensioni entusiastiche della grande stampa.
Un dramma che non lascia indifferenti anche grazie agli attori diretti da Martella (che con lui formano il collettivo Hangar Duchamp) calati in uno scenario- rappresentante la mente malata del protagonista omerico- talmente minimale da quasi nemmeno potersi considerate tale e nonostante ciò in grado di coinvolgere oltre che coinvolgersi: un Ulisse prestante come l’ex rugbista Flavio Favale attorniato da Simona Mazzanti (Circe), Vania Lai (Calipso), Giorgia Coppi (Penelope), Martina Brusco (Minerva), il marinaio Walter Montevidoni e Vincenzo Acampora nel ruolo spiazzante e anche divertente dello spettatore che interagisce anche con quelli veri oltre che con i colleghi sul palco.
Alessandro Pino e Luciana Miocchi
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