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200 anni dell’Inno alla Gioia: a piazza Sempione il 9 e 10 maggio c’è l’Europa del futuro

6 Mag

[ROMA] Il 9 maggio ricorre la giornata dedicata all’Europa in occasione dei duecento anni dell’Inno alla Gioia (composto da Beethoven che si ispirò a uno scritto di Schiller e scelto nel 1972 come Inno europeo). Per questo nella sede del Terzo Municipio a piazza Sempione sono stati organizzati due giorni di attività culturali

Il programma ideato dalla vicepresidente della Commissione municipale alle Politiche Giovanili e capogruppo di Italia Viva, Marta Marziali, assieme associazione “Euterpe e le altre” con la professoressa Daniela Colamonico è particolarmente orientato ai più giovani ma non solo.

Tra le attività previste:
la mattina del 9 maggio dalle nove so svolgerà un concorso a tema “l’Europa che vogliamo “ per artisti ( musica, poesia, canto, disegno) di tutte le età.

Seguirà un interludio musicale jazz con esecuzione dell’Inno alla gioia del gruppo Giri da Jazz.


Poi le classi Quinte Elementari della scuola Montessori daranno vita a un piccolo parlamento in municipio e costruiranno una bandiera di stelle con i pensieri dedicati all’Europa che vogliono costruire.

Nel pomeriggio del 9 maggio dalle 16:30 ci saranno due esibizioni: una musicale folk del gruppo Lupus e una danzante del Csa Montesacro.



Infine il 10 maggio si svolgeranno conferenze su arte, musica, filosofia , politica e religione per comporre un mosaico con le idee alla base dell’Europa. L’ingresso alla manifestazione è libero.
A cura di Alessandro Pino

“Il futuro è adesso”. Alla sala Agnini l’Italia vista dall’Europa – incontro con la eurodeputata Debora Serracchiani

8 Dic

Silvia Di Stefano, Dario Nanni, Debora Serracchiani, Riccardo Corbucci (foto A. Pino)

«Andare ad elezioni dopo le dimissioni del governo Berlusconi? Era da irresponsabili e anche impossibile. Il Presidente della Repubblica si è fatto carico di affidare il paese a chi meglio di altri poteva rappresentarlo in Europa». Ha esordito così Debora Serracchiani, europarlamentare Pd, quando ha preso la parola durante l’incontro “Il futuro è adesso” nella Sala Agnini di Viale Adriatico, a Montesacro. Precedentemente a lei erano intervenuti Silvia Di Stefano, coordinatrice del circolo Settebagni-Castel Giubileo che ha coordinato gli interventi, Riccardo Corbucci, vice presidente del consiglio municipale e Dario Nanni, consigliere comunale. Presenti, insieme a numerosi cittadini, molti esponenti locali del partito. Contrariamente a quanto avviene di solito, con l’esponente di spicco che si fa attendere, i lavori sono iniziati con una puntualità svizzera, alle 18.

Silvia Di Stefano ha ricordato che l’assemblea regionale del Partito democratico il prossimo febbraio svolgerà le primarie per le elezioni del nuovo segretario, forse insieme a quelle per il candidato sindaco di Roma e per il candidato alla presidenza del IV municipio. Corbucci e Nanni hanno raccontato delle loro battaglie in Municipio e all’assise capitolina, degli abusi dei mondiali di nuoto e di un certo modo di amministrare la città per cui si cedono le ex aree mercatali, a volte molto pregiate a società di costruzioni che realizzano lauti guadagni avendone in cambio pochi appartamenti che non riescono a vendere in zone ultra periferiche della città.

Poi è iniziato l’intervento dell’europarlamentare, particolarmente atteso. Non capita tutti i giorni di poter avere testimonianza diretta di quanto avviene a Strasburgo, figuriamoci in un municipio grandissimo si, ma considerato “periferico” rispetto ad altri. Oggi come oggi l’argomento “Europa” è molto sentito, visto che è nel suo nome che ci vengono chiesti ed imposti sacrifici importanti.

Parla velocemente, senza sprecare tempo né una parola più del necessario, l’eloquio allenato anche dal fato di essere un affermato avvocato specializzato in diritto del lavoro.

«Per descrivere la nostra situazione in Europa, partirei da due fotografie, indicative. La conferenza stampa Merkel-Sarkozy, con la risatina rimasta famosa e poi un’altra conferenza stampa dove c’erano tre persone sullo stesso piano: Merckel, Sarkozy e Monti.

Nel giro di qualche giorno l’Italia si è trasformata, almeno nella forma, ed è tornata ad avere un ruolo centrale, il ruolo che gli è stato riconosciuto quando ha co-fondato la comunità europea insieme alla Germania e la Francia, ruolo che negli anni avevamo in qualche modo perso.

In pochi giorni, in poche settimane noi abbiamo riconquistato quell’affidabilità e quella credibilità che l’Europa pretendeva dall’Italia. In questo momento ci viene riconosciuta la nostra funzione di pontiere tra Francia-Germania e i paesi in difficoltà economica insieme a noi».

Il tempo scorre veloce, l’argomento è talmente interessante e vasto che nessuno interrompe per fare domande. «Ora c’è il problema di come quelle tre persone hanno intenzione di affrontare la situazione. L’Europa è arrivata a gestire questa crisi economico-finanziaria in maniera impreparata, senza la forza politica che doveva accompagnarsi alle scelte economiche e finanziarie che sono state fatte negli anni. Nel 1992 Jacques Delors diceva che la banca centrale europea contava 340 milioni di utenti ed era impensabile che non vi fosse l’accompagnamento di precisi e forti impegni politici. Dal 92 ad oggi di costruzione politica dell’Europa se ne è vista ben poca. Arriviamo quindi alla crisi economica attuale sommandola alla crisi strutturale che già c’era. Questa attuale però non è l’Europa di Khol, Mitterand e Delors ma è quella di Merkel, Sarkosi e fino a qualche giorno fa di Berlusconi. E’ differente la classe dirigente che affronta la crisi. Basta ricordare che se avessimo aiutato la Grecia un anno fa ci sarebbe costato la metà di quanto ci sta costando adesso. Se la Germania avesse sciolto il nodo degli aiuti finanziari alla Grecia avremmo evitato di bruciare in due settimane diciassette miliardi di euro e li abbiamo bruciati semplicemente perché bisognava attendere le elezioni in alcune regioni tedesche. Abbiamo un’Europa poco politica, leadership internazionale in difficoltà e stati nazionali che di fronte alla crisi invece di affidare un pezzo della loro sovranità nazionale se la riprendono, in particolare due grandi stati che in qualche modo si impegnano a fare da soli.»

Anche le curiosità riguardo la figura del premier Monti vengono anticipate. « Monti diventa determinante. Quei tre in comune non hanno nulla, la loro visione dell’Europa è profondamente diversa. I premier francesi e tedeschi pensano di poter fare da soli, l’italiano è un convinto europeista, che ha fatto il commissario europeo per anni, vuole la collegialità. L’apporto dell’Italia in questo caso è di arricchimento di quelle scelte che i capi dei due grandi stati non hanno fatto fino in fondo. Ne cito alcune. Noi siamo qui in bilico a decidere se fare o no il fondo salvastati, siamo in bilico a decidere se fare o no gli eurobond, che sono mettere insieme il debito degli stati nazionali, darlo in qualche modo all’Europa e a cercare di garantire che tutti gli stati, nessuno escluso, possano affrontare la crisi e magari anche superarla. C’è anche una difficoltà di individuazione della strategia e di individuazione della visione. La Merkel crede nell’Europa ma ne vuole il controllo, non è pronta a fare il passo di affidarsi ad un’Europa che mette insieme gli stati, si prende impegni politici e assume responsabilità verso gli altri stati membri. L’ingresso improvviso, voluto dell’Italia, è fondamentale.»

Sul diverso modo di reagire alla crisi dei stati membri, la Serracchiani dice «la crisi economico-finanziaria ha colpito tutti i paesi non soltanto quelli europei. Ognuno dei nostri 27 però ha reagito in maniera diversa. La Polonia ha un tasso di crescita superiore alla Germania. La Svezia è addirittura in crescita. Il Financial Times ha addirittura premiato il ministro svedese che per primo ha letto la crisi, ha bloccato i bonus alle banche e ha cominciato a fare quelle azioni che a noi vengono chieste tutte insieme, all’improvviso. Dobbiamo chiederci perché in questi ventisette stati ce ne sono molti che hanno una difficoltà economica superiore alla nostra, non solo la Grecia ma anche Portogallo, Spagna e Irlanda ma la Bce ha scritto solo a noi? Questo è un problema più politico. L’Italia è uno stato che aveva già promesso quegli interventi , in tre anni abbiamo fatto tredici manovre, dicendo sempre che eravamo pronti a fare le grandi riforme, avevamo già promesso che le avremmo fatte ma poi in realtà non è stato così. La banca centrale europea scrive proprio a noi perché in qualche modo sembravamo trascurare la questione, bastava prendere un qualsiasi giornale italiano per convincersi che la crisi non c’era.

Qualcuno ha reagito meglio. Viene da domandarsi cosa questi stati hanno fatto che non è riuscito a noi. La Spagna in campagna elettorale. ha spostato le tasse dal lavoro al capitale, ed è nel nostro paese un fatto che non è stato preso neppure in considerazione. Noi non abbiamo fatto la patrimoniale. Ora ne possiamo parlare liberamente, ma fino a qualche mese fa non si poteva neppure utilizzare il termine. In questo senso spero che monti vada fino in fondo con i tre requisiti rigore, equità, crescita. Che vanno messi insieme, non tenuti distinti. Rigore, se fai delle azioni che deprimono, devi fare un azione altrettanto equa. In Europa la patrimoniale è di due tipi, straordinaria con un aliquota più alta ma limitata nel tempo o più bassa ma in vigore per più tempo. Sarcozy  aveva promesso che l’avrebbe eliminata ma appena eletto ha detto ora non si può. In Francia si tassa tutto il patrimonio ma per loro è più semplice, non hanno il tasso di evasione che c’è da noi, che tassiamo solo l’immobiliare perché è quello più difficile da nascondere. Va bilanciata tenendo in considerazione anche la liquidità, con equità va valutato anche il reddito della persona perché essere proprietario di immobile non significa automaticamente avere la liquidità per pagare. Se queste scelte le avessimo fatte per tempo ora ci sembrerebbero più accettabili.»

Altro punto dolente da spiegare, le pensioni. «In Europa si dice che il nostro sistema pensionistico tiene, ma tiene nel lungo periodo, per i prossimi quindici anni no, perché c’è il peso delle pensioni di anzianità di chi ha iniziato a lavorare molto giovane e che, accumulato li anni di contribuzione, sta andando in pensione. Nel tempo sono sempre di meno quelli che hanno iniziato a lavorare presto, se si è 25 anni e molti di quelli che cominciano ora non accedono neppure all’inps ordinaria ma alla gestione separata. Il peso c’è ora. Ci sarà un aggiustamento? Molti sono gli interventi da fare prima di toccare le pensioni, ma se si decide di fare questo, le opzioni che più probabilmente verranno richieste all’Italia sono l’innalzamento dell’età già previsto per il 2026 e il passaggio al metodo contributivo, si abbassa un pochino la pensione ma diventa più equa, poi la flessibilità in uscita, cioè il lavoratore decide quando vuole uscire più lo fa prima più ne prende di meno. Ancora si possono eliminare tutte le pensioni privilegiate che esistono in questo paese. Potevamo farlo dieci anni fa, quando c’erano le condizioni economiche».

Sui problemi del sistema Italia il suo pensiero è «Al di la della crisi economica, il paese ha un problema di competitività rispetto agli altri i.. qui l’energia elettrica costa il 26 per cento in più della media europea, il carburante subisce due accise, mancano le infrastrutture e trasportare merci costa il 20 per cento in più. C’è un eccesso di burocrazia. L’ Eeuropa batte sulla competitività.»

Sul costo del lavoro: «Si dice che in Italia il costo del lavoro è troppo elevato per cui non si fa impresa. In parte è vero ma come mai in Germania il lavoro costa di più e gli stranieri vanno a mettere li le lori imprese? Ci vanno perché il paese è più competitivo. C’è anche un problema culturale per cui da noi i lavoratori sono sempre un costo per cui se una azienda deve abbattere i costi la prima cosa che fa è tagliare il personale. Perché noi siamo ancora convinti che un lavoratore che viene specializzato in quell’azienda e viene fidelizzato costa molto di meno di quanto costi cambiare in continuazione dipendenti. E da altre parti l’hanno già capito. In Italia è complicato capire che il mercato del lavoro va riordinato perché non è normale che se io decido di assumere una persona ho trentaquattro forme diverse contrattuali per farlo. »

L’intervento politico come esponente del Pd

«Ora abbiamo un governo tecnico, ma i governi non sono mai tecnici, sono politici. Monti ha fatto il commissario in Europa per dieci anni alla concorrenza al mercato unico e ha aperto una procedura di infrazione alla concorrenza a Microsoft. Mettere insieme ventisette teste diverse non è roba da tecnici ma da politici. E comunque, se se questi faranno le cose fatte bene, perché dopo dovrebbero rimettere il paese in mano alla “politica”?

Dobbiamo seguire passo passo tutto quello cha andrà ad accadere perché non sarò sufficiente se la politica non avrà l’ambizione di cambiare il modello culturale nel quale questo paese vive. Dobbiamo tornare a dire questo è uno Stato,  è una comunità, una nazione con il rispetto delle istituzioni, l’etica. Alcuni hanno detto ad esempio che l’appello che ha fatto il presidente alla necessità di dare la cittadinanza ai giovani che si sentono  italiani, che nascono in Italia da famiglie straniere, non è una priorità perché ora c’e altro da fare. Questo può riguardare il governo Monti perché deve fare delle scelte economiche ma non può riguardare la politica che deve fare delle modifiche al modello culturale. Possiamo fare due scelte; mettere quelle persone ai margini della società e non considerarli italiani ma quando si mettono le persone ai margini delle società quelle si incattiviscono e diventa difficile conviverci, oppure che diventino italiani, che ci sia un possibilità di assumersi i diritti ma soprattutto i doveri di essere cittadini italiani. Perché allora si costruisce un paese diverso. Ci aspetta una campagna elettorale dura, perché chi ha fatto una scelta vergognosa di mettersi all’opposizione, per tenere il proprio consenso elettorale, mi riferisco alla lega nord, che poi non ha avuto neppure il coraggio di portarci fuori da una situazione difficile. Quella forza politica farà solo un tipo di campagna elettorale: no all’ Europa, salviamo gli italiani mandiamo via gli immigrati, salviamo il nord togliamo il sud. Il nostro è l’unico paese europeo che durante la crisi ha tagliato scuola, sanità e ricerca. E anche qui la volontà politica era chiara, un popolo ignorante si governa molto meglio. Tutte queste cose le sentiamo nostre ed è una battaglia da fare in questi quindici mesi, dove la politica deve appoggiare questa sfida economica ma deve avere l’ambizione importante di tornare ai valori dell’etica. Quello che sta succedendo a questo paese è che sta tornando normale. Non è un pese normale quello che si stupisce se il presidente del consiglio va a vedere una mostra, si mette in fila e paga il biglietto. Non è neppure normale un paese che si stupisce se il presidente del consiglio potendo scegliere tra due aerei uno più grande e uno più piccolo sceglie quello più piccolo. Come non è normale aprire il giornale e trovare uno ricco che dice fatemi pagare più tasse. Dobbiamo ritrovare la normalità. Le battaglie sindacali sulla dignità del lavoro, sulla sicurezza. Dobbiamo recuperare la normalità. Dobbiamo impegnarci tutti a stare sul territorio marcando la differenza tra noi e gli altri per governare al meglio dove già lo facciamo e tornare dove non siamo più. Se vogliamo tornare in Europa dobbiamo farlo a testa alta.»

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Dopo l’intervento a “Il futuro è oggi” Debora Serracchiani ha accettato di rispondere ad alcune domande poste da www.europagiovani.com

(per leggere l’intervista completa copiate l’indirizzo http://www.europagiovani.com/index.php?module=loadRubriche&IdCategoria=25&IdRubriche=307  )

Luciana Miocchi

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