Archivio | agosto, 2015
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Terzo Municipio di Roma Capitale: un’idea di Riccardo Corbucci per piazza Sempione – di Alessandro Pino

29 Ago

Sono ormai giunti a conclusione i lavori di rifacimento del manto stradale che hanno interessato nelle scorse settimane la Nomentana nel tratto che attraversa il cuore di Monte Sacro –  dove già sono stati notati alcuni rattoppi –  e piazza Sempione. simplon3 Proprio per quanto riguarda la piazza, il presidente del Consiglio  del Terzo Municipio, Riccardo Corbucci, ha preso lo spunto per proporre – attraverso il proprio profilo Facebook – l’idea di una nuova viabilità che ne preveda la parziale chiusura al traffico privato, mantenendo il parcheggio antistante la sede municipale di palazzo Sabatini ma con ingresso da via Monte Tesoro e contestuale ripristino dell’antico doppio senso di marcia sulla Nomentana nella parte che prende il nome di via Maiella. I commenti dei cittadini non si sono fatti attendere: in molti sono stati quelli favorevoli, alcuni addirittura chiedendo una scelta più drastica con la totale chiusura della piazza e l’eliminazione del parcheggio.  Non è mancato comunque chi ha espresso la propria perplessità, evidenziando come una scelta del genere avrebbe conseguenze negative sul traffico sia in direzione del centro che di Talenti, stante la ormai ventennale chiusura ai veicoli del Ponte Nomentano che un tempo consentiva di bypassare la zona. Ovviamente Corbucci, sapendo bene che per quanto numerosi i commenti su un social network non possono essere realmente rappresentativi del complesso dei cittadini, è intervenuto egli stesso annunciando l’intenzione di promuovere per settembre un’assemblea pubblica con la partecipazione di cittadini e gli uffici competenti per valutare pro e contro di eventuali modifiche alla circolazione nella zona.

Alessandro Pino

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Stazione Fs di Settebagni: finalmente i nuovi tabelloni elettronici – di Alessandro Pino

28 Ago

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Da alcuni giorni nella stazione ferroviaria di Settebagni  – Terzo Municipio di Roma Capitale – sono stati installati nuovi tabelloni elettronici per informare i passeggeri sull’orario dei treni in arrivo e partenza. Costruiti dalla Solari di Udine, sostituiscono i precedenti che erano rimasti disattivati per diversi mesi e che erano anche stati soggetti ad atti di vandalismo.

Alessandro Pino

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Incendio a Vigne Nuove: parlano i residenti – di Alessandro Pino

26 Ago
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L’androne del palazzo

 

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L’esterno con i segni del fumo

I segni dell’incendio che ha danneggiato l’androne di una palazzina di proprietà dell’Ater  (in cui vivono anche familiari del consigliere municipale Manuel Bartolomeo) al civico 18 di largo Fratelli Lumière – zona Vigne Nuove- la notte del 26 agosto sono visibili già da fuori la cancellata: una mano di nerofumo copre parte della facciata fino al secondo piano. Varcato il cancello, in una rientranza sulla destra c’è lo scheletro di uno scooter divorato dal fuoco: secondo alcuni sarebbe proprio il motociclo a essere stato dato alle fiamme, propagatesi poi intorno. «Qui ci sta una combriccoletta di ragazzi poco raccomandabili che si fermano qua sotto – riferisce una residente – non so se sono stati loro ma il sospetto c’è». A causa del fuoco il citofono non funziona più, nelle scale la luce è saltata, il vetro del portone si è crepato; l’ascensore fortunatamente funziona ancora. La paura però

I resti dello scooter divorato dalle fiamme

I resti dello scooter divorato dalle fiamme

 è stata tanta: «Ci siamo svegliati sentendo delle voci  – racconta un altro inquilino – poi a un certo punto mia figlia si è alzata e ha aperto la finestra; ha visto un sacco di fumo nero ha cominciato a strillare, si sentivano le fiamme sotto.  La scala interna era piena di fumo, non si vedeva niente perché la luce era saltata. Poi sono arrivati i Vigili del Fuoco». La mattina un incaricato dell’Ater ha eseguito un sopralluogo, poi è arrivato un elettricista.

Alessandro Pino

III Municipio di Roma Capitale: a fuoco l’androne di uno stabile dell’Ater a Vigne Nuove

26 Ago

11889461_10208032068667928_4291422318024136661_nErano circa le tre di questa mattina quando l’androne del palazzo ATER al civico 18 di Largo Fratelli Lumiere è stato invaso dalle fiamme. Paura per i residenti intrappolati all’interno dello stabile fino all’intervento dei Vigili del Fuoco. Sul posto anche la polizia locale. Sconosciuta al momento la dinamica dei fatti.

Nell’edificio abitano familiari del consigliere munipale d’opposizione Manuel Bartolomeo.

(si ringrazia Manuel Bartolomeo per la foto)

Luciana Miocchi

Se con i rifiuti in Terzo Municipio si è passato davvero il segno – di Alessandro Pino

25 Ago

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Più volte su questo blog è stata documentata l’inciviltà criminale di chi usa le strade della Città Eterna come discarica per rifiuti che andrebbero conferiti negli appositi centri. Stavolta però si è passato ogni limite di decenza e impunità: via Val d’Ossola si trova a Monte Sacro nel cuore del Terzo Municipio di Roma Capitale, non lontano dalla sede municipale di piazza Sempione. Una strada sulla quale si affacciano palazzi di sei-sette piani.

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Questo non ha impedito ad autentici barbari di depositare davanti ai secchioni dell’immondizia – nei pressi dell’incrocio con la Nomentana – un centinaio di sacchetti in plastica pieni di calcinacci provenienti da qualche ristrutturazione o demolizione.
Un minimo di rumore dovrebbero averlo fatto, un po’ di tempo ci devono aver messo per scaricare tutto quel materiale. Ancora una volta nessuno ha visto o sentito niente.

Alessandro Pino

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Settebagni: cambierà la guida della Parrocchia di S. Antonio di Padova

24 Ago

Dopo decenni di conduzione dei francescani, la decisione di affidarla a sacerdoti diocesani

Anticipata come un fulmine a ciel sereno da alcuni interventi in rete da parte di residenti a Settebagni, si annuncia una novità per la vita del quartiere che ha del clamoroso ma che nonostante ciò non ha sorpreso alcuni: dopo decenni di guida da parte dell’Ordine Francescano, la locale Parrocchia intitolata a Sant’Antonio di Padova verrà affidata a sacerdoti diocesani. 7bparrocchiaLa notizia è stata confermata da ambienti interni alla Parrocchia senza però volersi sbilanciare in commenti o valutazioni, presenti invece in abbondanza sui social network e che fanno ipotizzare qualcosa di più che un fisiologico avvicendamento: impossibile non prendere nota di un certo malcontento già manifestato in più occasioni da parte dei fedeli nei confronti della attuale conduzione della Parrocchia, giudicata da alcuni forse troppo rigidamente distaccata dai tempi, dalla reale quotidianità delle persone e responsabile anche della progressiva fatiscenza dei locali adiacenti la Chiesa vera e propria. Una difficoltà di comunicazione forse non solo sul piano culturale e morale ma anche letteralmente linguistico che non ha facilitato le cose tra interlocutori – da una parte e dall’altra – che inevitabilmente considerano come straniera la lingua parlata dall’altro. Possibile dunque che le lamentele siano state sospinte fino ai piani alti della Curia, fino alla decisione di un cambio radicale (ma che potrebbe essere dettata semplicemente dalla penuria ormai cronica di frati francescani) che sarà certamente molto sentito in una comunità tanto ristretta e in parte isolata – anche geograficamente – dal resto del Terzo Municipio. Resta da vedere quale sarà la reazione di quella parte dei parrocchiani che invece avevano manifestato il loro sostegno al parroco uscente oltre a un’altra questione che pochi conoscono: sembrerebbe che a suo tempo i terreni e i fondi per la costruzione della Chiesa furono donati a condizione che essa fosse guidata sine die dai Francescani. Nel caso fosse confermata l’esistenza di un tale vincolo, ci sarà qualcuno che si opporrà per farlo valere?

Alessandro Pino e Luciana Miocchi

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Dopo la zingarata trionfale va in scena il disastroso teatrino alla romana – di Alessandro Pino

23 Ago

IMG-20150823-WA0000[1]I fatti sono ormai arcinoti, avendo compiuto il giro del mondo per uno sputtanamento a livello planetario: lo scorso 20 agosto si sono svolti a Roma nella chiesa intitolata a San Giovanni Bosco i funerali di Vittorio Casamonica, principale esponente della famiglia di zingari stanziali nota per le sue attività criminose. Una cerimonia non esattamente di basso profilo: il tiro a sei cavalli per la carrozza funebre – si dice la stessa usata per le esequie di Totò e di Lucky Luciano – le note composte da Nino Rota per  “Il Padrino” suonate da una banda musicale, i manifesti affissi fuori la chiesa inneggianti allo scomparso quale “re di Roma”, la Polizia di Roma Capitale accusata di aver scortato il corteo di oltre duecentocinquanta vetture bloccando il traffico, l’ormai famosissimo lancio di petali di rosa da un elicottero sono diventati in poche ore argomento di discussione sia al bar sotto casa che sui quotidiani stranieri. Mancavano solo le Frecce Tricolori per coronare degnamente un trionfo dell’arroganza a braccetto con il cattivo gusto che però dal punto di vista dei protagonisti è stato un enorme successo mediatico e di clan. In tempi di social network imperanti poi viene proiettato su scala mondiale tutto quello che a Roma era arcinoto da decenni e che una volta sarebbe rimasto confinato al si sa ma non si dice, regalando IMG-20150823-WA0001[1] l’ennesima  figura di palta a chi la amministra a ogni livello. A lato, la polemica contro la Chiesa cattolica che anni or sono nella stessa chiesa aveva negato i funerali a Piergiorgio Welby, “reo” agli occhi delle gerarchie ecclesiastiche di aver scelto l’eutanasia per porre fine al suo calvario di malato. Il giorno dopo, a gettare benzina sul fuoco provvedeva l’atteggiamento da pesci in barile tenuto dalle autorità che si rimpallavano la responsabilità di non avere impedito siffatta cerimonia, lamentando inoltre di non essere stati informati, assicurando altresì fermezza e rigore: la classica scena della stalla che viene chiusa solo quando i buoi sono scappati da un pezzo.  Al momento l’unico provvedimento adottato dalle Autorità sarebbe la sospensione della licenza di volo al pilota dell’elicottero che non avrebbe chiesto alcuna autorizzazione, ciliegina sulla torta della inettitudine di chi puntualmente lascia che la città Eterna diventi non tanto la “terra di nessuno” quanto quella di un ben identificabile “qualcuno”. A proposito del sorvolo non autorizzato, viene spontanea la considerazione che se l’Isis non ci ha ancora sterminato con un bombardamento aereo è solo perché evidentemente non ne ha voglia o forse non ci ritiene nemmeno un bersaglio degno di nota. Insomma è stato l’ennesimo, disastroso, mortificante teatrino all’italiana, anzi alla romana. Da parte nostra ci permettiamo un modesto suggerimento: visto che la sobria cerimonia sarà costicchiata qualcosina, non sarebbe forse il caso che le Forze dell’Ordine procedessero con un controllino allo spesometro dei personaggi coinvolti,  per confrontarlo in base alle spese sostenute? Si sa mai che finisca come per Al Capone…

Alessandro Pino

 

Un’altra brutta cartolina dal Terzo Municipio di Roma Capitale – di Alessandro Pino

23 Ago

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Se qualcuno avesse bisogno di un frigorifero fuori uso – si sa mai, con un riciclo stile Art Attack magari ci scappa fuori una dispensa per la casa al mare – o di qualche scarpa vecchia può recarsi in via Conca d’Oro nei pressi degli ingressi al Parco delle Valli.

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Scherzi a parte, quello che non si capisce è come possa avvenire tutto questo in un luogo tutt’altro che periferico, ai confini tra il Secondo e Terzo Municipio di Roma Capitale e che anche di notte vede un certo traffico.
Nessuno vede, nessuno sente.

Alessandro Pino

Settebagni: gli zozzoni colpiscono ancora – di Alessandro Pino

21 Ago

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La storia è ormai ben nota a chi segue questo blog: da quando a Settebagni – estrema periferia del Terzo Municipio di Roma Capitale – è stata introdotta la raccolta differenziata porta a porta, dalle strade del quartiere sono spariti i tradizionali cassonetti dei rifiuti, non previsti dal sistema in questione per il quale si usano dei piccoli bidoncini domestici.
Sono rimaste soltanto alcune campane per la raccolta del vetro e in troppi le prendono come punto di riferimento per scaricarci accanto praticamente di tutto, dai normali sacchetti della spazzatura fino al materiale di risulta di qualche ristrutturazione edile, come in foto.
Gli addetti dell’Ama ogni tanto provvedono comunque a togliere dalla strada tali rifiuti depositati irregolarmente ma ogni volta si torna da capo con altra spazzatura che puntualmente documentiamo, sia chiaro senza alcun compiacimento disfattista.

Alessandro Pino

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Ferragosto in ascensore – racconto di Alessandro Pino e Luciana Miocchi

16 Ago

Borsa frigorifera, borsone con costume olimpionico vagamente anni settanta e seriamente contenitivo, Settimana Enigmistica fresca di stampa, batteria di riserva per il telefono, ciabatte, asciugamani, stuoia, crema solare: Felice chiuse la porta di casa dopo aver fatto un ennesimo rapido inventario di cosa doveva portare con sé per trascorrere il Ferragosto al mare con la comitiva, perdendo poi  un paio di secondi per decidere se prendere l’ascensore oppure farsi   le tre rampe di scale che lo separavano dal garage interrato. Ancora un po’ imbambolato dal sonno, disse fra sé e sé “massì, dai” premendo il pulsante per chiamare la cabina. Nonostante la palazzina di periferia in cui viveva fosse soltanto di quattro piani, ogni volta l’attesa interminabile gli faceva sospettare che ce ne fossero almeno altri venti o trenta nascosti, dei piani fantasma per così dire, altrimenti non si spiegava perché mai ci dovesse mettere tutto quel tempo per arrivare. Intanto che aspettava pensava alla giornata a Fregene, tastandosi la panza sotto la maglietta volutamente ampia e 20150812_101720chiedendosi se fosse abbastanza in forma per presentarsi a torso nudo: del resto erano settimane che non toccava un filo di pastasciutta  o una briciola di pane all’inseguimento della linea perduta, proprio in  previsione di un evento del genere. Era arrivato ad avere visioni notturne di piatti di amatriciane e carbonare che lo richiamavano come le sirene di Ulisse ed effettivamente un paio di giorni prima poco ci era mancato che, ospite di alcuni parenti, non saltasse addosso ad una  zuppiera ricolma di tagliatelle al ragù. Ma almeno per quel Ferragosto avrebbe dovuto attuare una ignobile messa in scena per far sembrare naturale – e non forzato come in effetti era  –  il ritorno a una linea passabile se non proprio a clessidra: per una volta si sarebbe nutrito normalmente, anzi si era offerto di preparare  lui stesso i tramezzini che la combriccola – lui incluso – avrebbe mangiato sulla spiaggia. La sera prima con le sue manine aveva  imbottito e poi avvolto nel cellophane le fette di pan carré con la massima cura, sforzandosi di dimenticare di aver letto la lista degli ingredienti con la quantità incredibile di strutto contenuta nell’impasto e  immaginando quale di esse sarebbe finita tra le labbra carnose e dipinte color miele di Valeria, nemmeno quarant’anni, separata  senza prole che da non molto tempo si era aggiunta al gruppo di amici e che gli garbava assai. Tastandosi ancora la zona addominale si convinse soddisfatto che finalmente poteva fare a meno di presentarsi  con quella assurda mezza muta nera della Cressi che in analoghe occasioni si era ostinato a indossare e che secondo lui lo sfinava, mascherandone pietosamente la trippa strabordante; l’anno prima se l’era messa  conciandosi come Jacques Cousteau a bordo della Calypso anche per un bagno in una tinozza gonfiabile nel giardino della sorella Lucilla che tra gli sghignazzi perculatori gli aveva chiesto come mai indossasse la ciambella salvagente sotto anziché sopra. Era immerso in queste considerazioni – in attesa di farlo nelle acque del Tirreno – quando finalmente l’ascensore arrivò al piano e dopo un rintocco meccanico si aprirono le porte scorrevoli. Prese i bagagli e spinse il tasto del piano interrato dove nel garage era parcheggiata la sua Alfa 75 verde petrolio che finalmente era riuscito a comprare un paio di mesi addietro, realizzando il suo sogno di Alfista duro e puro e ignorando le sagge esortazioni a lasciar perdere di Lucilla che quel modello conosceva bene avendolo guidato a lungo; ma la sorella era la solita disfattista guastafeste, che diamine,  lui in fondo ci era rimasto a piedi soltanto due volte nelle poche settimane da quando aveva concluso quell’affare strepitoso. Le porte si chiusero e la cabina iniziò la discesa nelle viscere del palazzo; lentamente come sempre, forse più lentamente del solito…troppo lentamente, fino a fermarsi del tutto. La conferma che forse sarebbe stato meglio farsi a piedi qui pochi gradini arrivò provando a spingere il tasto di apertura porte: davanti a lui la poco confortante visione del cemento del solaio gli annunciava che quel cubicolo rivestito di alluminio e finto legno si era fermato esattamente tra due piani. «No, cazzo» fu la comprensibile reazione ma si riprese  subito senza perdersi d’animo, fiducioso che la pressione del pulsante di allarme avrebbe limitato il ritardo compensato dal fatto che era anche uscito con un certo anticipo. Solo che…premendo il tasto non si udì alcun campanello, alcuna sirena.  La fronte iniziò a inumidirglisi, ma di un sudore freddo dovuto all’addensarsi di vaghe reminiscenze dell’ultima riunione condominiale, durante la quale era stata sollevata la questione dell’impianto di emergenza dell’ascensore, spesso malfunzionante. In pochi secondi il ricordo della circostanza si fece più nitido, era proprio così: non di rado si guastavano sia il segnale di allarme interno al palazzo sia il combinatore telefonico collegato con la ditta che aveva in appalto la manutenzione dell’impianto e che sarebbe dovuta intervenire in caso di emergenza. Assieme alla temperatura, aumentavano di pari passo lo sgomento per quella specie di sepoltura verticale e la rabbia nei confronti dell’amministratore – pilatesco al pari di tutti i suoi predecessori nella gestione di quel condominio – che evidentemente non si era mosso con la dovuta risolutezza per risolvere il problema. All’improvviso gli si accese sopra la testa la lampadina delle idee brillanti, anzi a lui dovette sembrare proprio un’insegna al neon con scritto “GENIO”: la targhetta con il numero di telefono della ditta incaricata stava lì bella davanti a lui proprio di fianco alla tastiera, giusto il tempo di chiamarli con il cellulare e sarebbero arrivati. L’insegna al neon si affievolì fino a spegnersi del tutto quando si accorse che lì sotto lo smartphone non prendeva la linea: la cabina era già al livello dei piani interrati, forse un cellulare vecchio stile – di quelli che servivano soltanto a telefonare e mandare messaggi – sarebbe riuscito a trovare almeno una tacca, ma questi apparecchi di adesso, pieni di programmi e funzioni che gli mancava solo la caffettiera a cialde inserita, per quanto riguarda la capacità di far semplicemente conversare si dimostravano assai indietro ai loro progenitori. «Cazzo» disse ad alta voce, come se avesse bisogno di sentire con le orecchie la consapevolezza raggiunta di essere finito in un bel secchio di guai. Non poteva chiedere aiuto né avrebbe potuto rispondere a eventuali chiamate degli amici che lo attendevano . Si appoggiò con la schiena a una parete pensando a chi fosse presente nel palazzo in quella giornata. Erano da poco passate le otto di mattina, magari qualcuno che non era andato in vacanza e che  ancora doveva uscire per la gita tradizionale c’era: ma come si chiede aiuto quando sei rimasto chiuso in ascensore, quale è la formula che sia al contempo efficace, che ti faccia sentire dai potenziali soccorritori senza farti sentire un cretino tu stesso? Provò diverse formule: “C’è nessunooooo?”, “Mi sentiteeeeeee?”, fino al disperato quanto concreto “aiuuuuutooooooo”. Niente di niente, nessuno rispondeva.

Guardò l’ora sul quadrante dell’Omega Constellation prima edizione, altro suo trofeo di collezionista di perfezione meccanica: i minuti erano trascorsi e si erano fatte le nove. Giunsero dei suoni dall’alto, da uno dei piani superiori. Erano delle voci umane sì, ma sembravano di qualcuno che ululasse al cielo. Ah, sì: doveva essere il professore di lettere in pensione del secondo piano, tipico appartenente al genere del “rincoglionito wagneriano”, quelli che la mattina dei giorni festivi accendono la vecchia cattedrale a 33 giri e impongono al disgraziato quanto involontario pubblico la  tetralogia del Nibelungo completa.  Inutile sperare che le richieste di soccorso sarebbero giunte a quelle orecchie affollate da Valchirie, ori del Reno e crepuscoli degli Dei.

Starsene in piedi era inutile, cominciava ad averne le tasche ben colme di quella prigionia e valutò che il metro di differenza tra la postura eretta e quella seduta non avrebbe cambiato nulla sull’efficacia delle sue invocazioni di soccorso. Si accucciò rannicchiandosi tra le borse, aveva sete e si decise ad aprire una delle bottiglie di minerale che aveva portato. Quasi si strozzò mentre beveva quando sentì altre voci. Questa volta erano molto più vicine e non era una registrazione, erano persone in carne e ossa! Erano i due fidanzati dell’appartamento di fronte al suo, sempre con il sorriso sulle labbra: lui di mestiere faceva l’architetto e…l’altro lui invece era uno studente pugliese fuori sede e fuori corso da una vita di sociologia. Quel giorno però la loro abituale allegria doveva essere andata a farsi benedire: si stavano insultando pesantemente. Felice pur in quello spiacevole frangente non riuscì a reprimere una risatina perché si stava dando ampia pubblicità  all’argomento del contendere: «Se proprio ci tieni a fare il puttano col primo che passa almeno abbi la decenza di esercitare in posti diversi da quelli che frequentiamo di solito!» dichiarò l’architetto ferito. La replica in marcato accento salentino ci mise solo mezzo secondo ad arrivare: «Oh ma ti stai facendo i film in testa, mò per una birretta assieme fai una tragedia». Felice provò a inserirsi nel duetto ma senza successo, quei due erano troppo occupati a beccarsi per sentirlo e il suono del portone del palazzo che si chiudeva mise il sigillo del fallimento pure su quel tentativo.

Le tre lancette, ore minuti e secondi sul quadrante dorato del Constellation seguitavano a rincorrersi e si era fatto mezzogiorno; la prima bottiglia di acqua era finita e cominciava a farsi sentire un altro tipo di necessità legata ai liquidi che come entrano devono anche uscire dal corpo umano. Sì, insomma Felice doveva fare plinn plinn come negli spot televisivi. Provò a trattenerla un altro po’ ma alla fine lo sforzo fu insostenibile; l’ultimo baluardo prima di una resa vergognosa, dell’allagamento inverecondo , si rivelò proprio la bottiglia vuota. Si alzò in piedi, si armò di bottiglia e cercò di fare centro. Un paio di gocce scapparono fuori ma era provvisto di salviette umidificate; anche questa era fatta ma nel frattempo nessuno si faceva vivo e il pulsante di allarme che di tanto in tanto provava a schiacciare seguitava a non funzionare.

Prese la Settimana Enigmistica, sempre tendendo le orecchie a eventuali segnali di vita umana; lesse tutte le barzellette illustrate, pure quelle delle risatine a denti stretti, si interessò alle rubriche di notiziole utili, consumò mezzo refill della Parker che gli aveva regalato Lucilla per il compleanno, in sostituzione di una identica che aveva fatto l’errore di prestare e che era passata in cavalleria con suo estremo disappunto,  unendo i puntini numerati e riempiendo gli spazi, provò a risolvere senza ovviamente riuscirci il poliziesco, infine si decise ad attaccare le parole crociate. Quando le ebbe completate tutte tranne quelle crittografate (forse erano riservate a ex spie sovietiche abituate a decifrare codici segreti) si erano fatte le due del pomeriggio. Altre voci: gli sembrò di distinguere il primario del superattico, sì doveva essere proprio lui assieme alla dama che spesso lo accompagnava. Personaggio che da quando era apparso un paio di volte in una rubrica televisiva di medicina aveva preso una spocchia che lo rendeva simpatico come un brufolo sul culo ma in questo caso Felice decise di soprassedere, anzi al pensiero che sarebbe stato libero grazie al suo aiuto il tizio gli sembrò quasi gradevolmente familiare e si ripromise da quel momento in poi di seguirlo assiduamente in tv. Iniziò a chiedere aiuto a gran voce chiamando per titolo e cognome l’ormai famoso luminare delle malattie del retto. Soltanto che il medico quel giorno doveva avere la lancetta dello stronzometro posizionata sulla tacca del rosso più vivo, un rosso cardinale e pur essendo impossibile non sentire la voce di Felice decise di ignorarlo: del resto lo attendeva un pomeriggio in barca a vela e non aveva alcuna intenzione di sottrarvi anche solo mezzo minuto, avendo progettato almeno una mezza dozzina di approcci diversi, con in quali farsi cadere la dama ai propri piedi. Felice non voleva crederci e quella improvvisa simpatia si tramutò in odio cieco altrettanto velocemente di quanto era nata: conoscendo la passione del medico per la nautica d’altura – anche perché costui non perdeva occasione per sbandierarla ai quattro venti -iniziò ad indirizzargli maledizioni e nefasti auguri di tempeste e naufragi in acque infestate da pescicani e pirati, non dimenticando di includere in quei cordiali pensieri  l’intero albero genealogico di chi lo aveva lasciato al suo destino.

Fu preso un po’ dallo sconforto per la giornata ormai sprecata in un modo tanto assurdo,  per un attimo gli balenò la folle idea di aprire in qualche modo il tetto della cabina e arrampicarsi su per la tromba dell’ascensore aprendo poi le porte del piano dall’interno: si rese conto immediatamente che aveva visto troppi film d’azione, ma in fondo sarebbe stato carino poter raggiungere Valeria dopo una azione tanto eroica: una roba epica, da eroi senza macchia e senza paura. E lui invece stava lì in una ridicola cella di un metro quadro, tra i borsoni e una bottiglia piena di piscio. Una specie di clochard che invece di un cartone aveva per momentaneo alloggio la fottuta cabina di un ascensore. Già, chissà se lei gli stava pensando o semplicemente nemmeno aveva fatto caso alla sua assenza? Alla fine si lasciò vincere dalla stanchezza nervosa e si appisolò.

Lo svegliarono altre voci, questa volta più numerose: era ormai sera e alcuni inquilini stavano finalmente rincasando. Si scosse dal torpore e ricominciò a urlare picchiando con le mani aperte sulle pareti metalliche. Lo avevano sentito, qualcuno prima ancora di chiamare la ditta della manutenzione provò semplicemente a spegnere e riaccendere l’impianto dal quadro elettrico al piano garage: la cabina si smosse, lentamente come si era fermata ripartì verso l’alto. Le porte si aprirono e gli sembrò che ad accoglierlo ci fosse un comitato di festeggiamenti, c’era la famigliola che gli abitava di fianco tornata dalle vacanze coi due bambini piccoli che gli saltavano attorno frastornandolo ancor di più, i due giulivi anzi gai che evidentemente avevano fatto pace, nonostante le tendenze a saltare di fiore in fiore del prestante fuori corso, pure il rincoglionito nibelungico che era sceso a portare la cagnetta per la passeggiatina serale. Spiegazioni un po’ imbarazzate, ringraziamenti, promesse di un caffè tutti insieme e la suoneria del telefono che aveva ripreso la linea ora che era tornato a riveder le stelle: era un messaggio da un numero che non conosceva, aprì e lesse il testo. Era Valeria, si era fatta dare il suo numero da una amica comune, “ma non ci sei? Mi faceva piacere vederti ma chissà dove sarai andato a divertirti…”.  Felice la richiamò immediatamente. Con la capacità di un attore con l’hobby della pesca mise su un raccontino niente male di impegno preso mesi addietro con una vecchia zia che voleva festeggiare i novant’anni con un battesimo dell’aria proprio il giorno del suo compleanno ma non aveva trovato nessuno che la assistesse nel suo desiderio e lui si era sentito in dovere di esaudire la tenera vegliarda. L’importante era aver ricevuto quel messaggio. Ne avrebbe avuto di tempo per rifarsi del ferragosto in scatola. Con Valeria.

Alessandro Pino e Luciana Miocchi

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Se scioperano anche i dipendenti dell’Ikea – di Alessandro Pino

12 Ago

La protesta per la disdetta da parte dell’azienda del contratto integrativo ha causato la sospensione anche dei servizi di ristorazione per i clienti nel negozio a Porta di Roma

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Un gruppo di lavoratori dell’Ikea Porta di Roma in sciopero

Abituati ad associare il nome dell’Ikea all’immagine idilliaca delle famigliole e delle coppiette impegnate nel rituale e periodico giro tra gli ambienti domestici sapientemente ricostruiti  nei grandi locali diffusi in tutta Italia, desta quasi scalpore la notizia dello stato di agitazione attuato in questi giorni dai lavoratori italiani della multinazionale degli arredamenti di origine svedese.        Secondo quanto riferito da alcuni dei dipendenti in sciopero, il motivo della protesta sarebbe la volontà della dirigenza di recedere dal contratto integrativo imponendo delle novità che comporterebbero per i lavoratori degli svantaggi per quanto riguarda il trattamento economico (in particolare con il premio di produzione, gli straordinari e i festivi pagati di meno rispetto al passato) e un aumento della flessibilità sugli orari di lavoro. Le trattative tra azienda e le tre sigle sindacali confederate al momento sarebbero sospese e questo ha portato molti dipendenti a incrociare le braccia per protesta il 12 agosto – ma c’erano già state altre giornate di agitazione – stazionando presso i punti vendita come quello all’interno di uno dei centri commerciali più grandi e noti d’Italia: Porta di Roma, nel Terzo Municipio della PINOikeascioperiB Capitale.  Un giro all’interno del negozio in questione conferma che lo sciopero ha avuto una notevole adesione, al punto che l’azienda ha esposto degli avvisi per comunicare al pubblico la sospensione di alcuni servizi come la progettazione Cucine, il Cambio e Resi, il Banco finanziamenti e addirittura la chiusura del bar e del ristorante: fa un certo effetto vederli deserti sapendoli solitamente frequentatissimi dalla clientela a ogni ora. La stessa informazione viene ripetuta periodicamente dagli altoparlanti. Fuori l’entrata ci sono alcuni dei dipendenti in sciopero, anche se per un po’ si allontanano di pochi metri cercando riparo dal solleone sotto una grande tettoia. All’inizio si mostrano forse un po’ diffidenti quando gli viene chiesto se vogliono parlare con un giornalista, domandano  giustamente per chi si scrive e come si è sparsa la notizia dello sciopero;  si aprono dopo che il tesserino di appartenenza all’Ordine certifica  che non si è in presenza di un infiltrato venuto dalla Scandinavia.  Molto cortesi a posare per uno scatto con la gigantesca scritta Ikea sullo sfondo, riferiscono sull’andamento dell’astensione dal lavoro: «Su circa trecento dipendenti della sede di Porta di Roma siamo un centinaio a scioperare tenendo conto dei turni e dei riposi – dice una di loro anche se non hanno un portavoce ufficiale – ha aderito anche chi non è iscritto ai sindacati». E i clienti come l’hanno presa? «Sono molto comprensivi e mostrano la loro solidarietà, alcuni tornano indietro e non entrano, altri non comprano».

Alessandro Pino

La città eterna: Un certificato al tempo delle ferie

12 Ago

bannersfumatogiallo3_d0Ci si ritrova spesso a descrivere dettagliatamente quel che non funziona, quello che viene ignorato, i danni dell’incuria o dell’ignoranza. Questa volta però voglio condividere un momento felice.

Già dover andare dietro a delle noiose pratiche burocratiche non è piacevole, nella settimana che precede il ferragosto figuriamoci. Costretta obtorto collo a dover frequentare gli uffici anagrafici di via Fracchia entro a testa bassa e umor nero, pronta a buttar via una mattinata tra urla, impiegati dalla faccia tetra per essere costretti dietro il vetro all’11 di agosto, aria condizionata non pervenuta, attese snervanti e orari ridotti.

E invece.

Ritiro il numeretto che avverte di 58 persone in fila prima di me. Panico. Entro nella sala d’aspetto pronta al corpo al corpo. Sei sportelli aperti. Gente seduta, forse rassegnata alla fila o solo semplicemente fiaccata dalla pioggia mattutina o dall’afa fuori. Mi accorgo della temperatura piacevole, il climatizzatore funziona. I numeri si rincorrono sul display ad un intervallo ragionevole. Gli operatori magari non sorridono troppo ma nemmeno io se è per questo.

Mezz’ora a smanettare sullo smartphone e arriva il numero giusto. Sorriso all’impiegata che presa visibilmente alla sprovvista, fa altrettanto. Buongiorno, buongiorno. Timbri, firma, ritiro, saluti.

Forse durante il resto dell’anno ci accapigliamo perchè siamo in troppi a far la fila. O forse sono pochi gli operatori allo sportello. Che poi è la stessa cosa. Essere romani a Roma non è facile.

Luciana Miocchi

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Ingresso del Parco delle Sabine a largo Labia: già un bivacco dopo un mese dall’inaugurazione (FOTOGALLERY) – di Alessandro Pino

7 Ago

Stesso copione visto ai giardini della stazione Jonio: vandalismo e rifiuti la fanno da padrone

Era stato un facile profeta Mimmo D’Orazio – presidente del Comitato di Quartiere Serpentara – quando poco più di un mese fa fu inaugurato l’accesso al parco delle Sabine in largo Fausta Labia, Terzo Municipio di Roma Capitale: di fronte alle pareti immacolate dell’edificio da adibire a servizi e ristoro, alle panchine in monoblocco bianco, agli allegri zampilli d’acqua che sgorgavano dal pavimento e ai 20150807_072330giochi dello spazio per i bambini, quando gli fu chiesta una previsione sullo stato dei luoghi dopo sei mesi il suo commento fu «Tra sei mesi diciamo che siamo ottimisti, ho fatto una scommessa con un amico, quindici giorni, ma non per un discorso di sfascismo o pessimismo, purtroppo la colpa è anche dei cittadini…io mi auguro con tutto il cuore che rimanga così come l’abbiamo vista oggi, ho forti dubbi». A farci un giro oggi lo scettiscismo di D’Orazio appare più che

Dirglielo di persona no, eh

Dirglielo di persona no, eh

giustificato: i pavimenti e le panchine sono stati imbrattati dai soliti teppisti muniti di vernice spray e alcune delle sedute presentano  vistose crepe; alcuni dei giochi per i bambini (dei dischi colorati che ruotando davano luogo a un effetto ottico) sono stati rubati e di loro rimane solo il palo di sostegno; sparsi un po’ ovunque resti di pasti (angurie incluse, che la frutta di stagione ci sta bene) segno che il piazzale è stato trasformato in bivacco. Soltanto il cielo sa come mai finora si siano salvate le pareti di marmo dell’edificio che verrà destinato a punto ristoro. Ci sarebbe da commentare con il più classico “te l’avevo detto io” ma arrivati a questo punto il sarcasmo cede il passo all’amarezza, alla rabbia e alla frustrazione per uno spettacolo già visto in questi giorni – vedasi il giardino sopra la nuova stazione Jonio della metro B1 – e per come vengono fatte andare le cose in una città dove i barbari hanno mano libera sia in centro che nelle periferie, per una situazione che appare sempre più fuori controllo.

Alessandro Pino

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Dei giochi ottici rimane solo il palo

Dei giochi ottici rimane solo il palo

Una panchina vistosamente crepata

Una panchina vistosamente crepata

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Scarabocchi su panchine e pavimenti

Scarabocchi su panchine e pavimenti

Galleria

Castel Giubileo: sempre peggio l’asilo “Castello di Gelsomina” e il parco di via Bolognola (FOTOGALLERY) – di Alessandro Pino

6 Ago

Sono sempre più desolanti le condizioni dell’ex asilo “Castello di Gelsomina” a Castel Giubileo, Terzo Municipio di Roma Capitale. La struttura è al centro di polemiche da quando fu chiusa nel 2012 perché dichiarata insalubre a seguito di presentazione di un certificato di un medico Asl a causa di infiltrazioni di umidità risalenti presumibilmente da una falda acquifera sottostante.

L'ingresso dell'asilo

L’ingresso dell’asilo

Successivamente alla chiusura l’ipotesi di affidarla una associazione era rapidamente sfumata a causa dell’irritualità della procedura adottata. In attesa di lavori di ristrutturazione da lungo tempo annunciati e mai iniziati, nonostante negli ultimi tempi si siano trovati i fondi nella quota del milione di euro destinato ai municipi per lavori di manutenzione di strutture già esistenti, si trova in totale abbandono: gli ingressi presentano evidenti tracce di scasso con le porte aperte e alcuni vetri in frantumi, i muri sono stati imbrattati dagli scarabocchi dei soliti teppisti armati di bombolette spray, sparsi per il giardino e ormai cotti dal sole si trovano i giocattoli che servivano a intrattenere i bambini, la vegetazione sta man mano prendendo possesso di

Il vialetto di accesso all'asilo

Il vialetto di accesso all’asilo

tutto il cortile e anche la porta del deposito combustibile della caldaia risulta forzata. Il vialetto di accesso che affaccia su via di Castel Giubileo oltre a essere invaso dalle piante è zona a luci rosse come testimoniano i preservativi usati sparsi a terra con le loro bustine. Le cose non vanno meglio nell’adiacente parco pubblico di via Bolognola: il campo di basket intitolato al giovane Simone Fargnoli – morto per una caduta in bicicletta qualche anno fa – è dissestato, il campo di calcetto non ha più le reti perimetrali, alcune panchine sono state distrutte, l’erba alta è disseminata di rifiuti e i rami di alcuni alberi sono pericolanti.

Alessandro Pino

Giocattoli sparsi nel giardino

Giocattoli sparsi nel giardino

Mura imbrattate dai teppisti

Mura imbrattate dai teppisti

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Un'altra entrata: vetri infranti e invasione di piante

Un’altra entrata: vetri infranti e invasione di piante

Altri muri imbrattati

Altri muri imbrattati

Una panchina semidistrutta nel parco

Una panchina semidistrutta nel parco

Rami pericolanti

Rami pericolanti

Il fondo disastrato del campo di basket

Il fondo disastrato del campo di basket

Di nuovo l'asilo invaso dalle piante

Di nuovo l’asilo invaso dalle piante

Il vialetto di accesso all'asilo visto da altra angolazione

Il vialetto di accesso all’asilo visto da altra angolazione

Il campo di calcetto senza più le reti divisorie

Il campo di calcetto senza più le reti divisorie

Rifiuti sparsi nel parco

Rifiuti sparsi nel parco

 

L’illusione del verde a Roma : Monte Mario

5 Ago

monte mario BNon sono più solo parchi e giardini in periferia, ad essere sporchi e trascurati. Bottiglie di vetro e di plastica, immondizia varia, cestini mai svuotati, erba alta, erba secca, per non far torto a nessun romano, tutta Roma sembra entrata nell’era buia dell’abbandono totale.monte mario A

Questo è, o dovrebbe essere, l’ingresso alla riserva naturale di Monte Mario, incastonata tra alcuni dei quartieri residenziali più ambiti. Democraticamente sporco e con un’aria tristemente abbandonata.

Luciana Miocchi

Un’estate di risate a Villa Ada con i comici più noti della Tv (TUTTE LE DATE) – di Alessandro Pino

5 Ago

Fino al 5 settembre i nomi più famosi del cabaret tricolore sul palco di “I LOVE COMICO”

L’elegante e rinfrescante cornice del laghetto di Villa Ada a Roma ospita per tutto agosto e fino al 5 settembre i più noti volti della comicità televisiva e teatrale italiana: “I LOVE COMICO” è il nome della rassegna organizzata dalla AB Produzioni di Andrea Bianco e Fabio Censi. Per dare un’idea del livello basterà elencare semplicemente i nomi degli artisti partecipanti: Giobbe Covatta (ha presentato il 4 agosto il suo “Recital dal 2012 al 2112”), Dario Bandiera (andato in scena il primo agosto con “Ci penso io live”), Riccardo Rossi (tornerà il primo settembre con “L’amore è un gambero”), Francesca Reggiani (con il suo “Francesca Reggiani Show” il 31 agosto), Baz (il 5 agosto con “Live 2015”),

Giobbe Covatta in

Giobbe Covatta in “Recital (dal 2012 al 2112)

Antonio Giuliani (presenta “Confusion” il 6 agosto e il 4 e 5 settembre), Max Giusti (in “30 anni di personaggi”, il 7 e 28 agosto e il 3 settembre), Rodolfo Laganà (l’otto agosto con “Nudo Proprietario”), Simone Schettino (il 9 agosto con “Fondamentalista si nasce”), Il Gruppetto di Zelig (il 10 agosto per “Una serata di sana follia”), Carmine Faraco (l’undici agosto in “Pekkè 2 – la vendetta”), Giorgio Montanini (il 12 agosto in “Nemico pubblico”, vietato ai minori di 18 anni), Maurizio Mattioli e Marko Tana (in “Tana per Mattioli” il 13 agosto), Maurizio Battista (il 14 e 15 agosto in “Ero felice e non lo sapevo”), Valentina Persia (il 18 agosto in “Spinga, signora, spinga”), I Sequestrattori (il 19 agosto in “Roma a misura Duomo”), Martufello (il 20 agosto in “L’aria che tira”), I Vianella (il 21 agosto in “Semo gente de borgata”), Massimo Bagnato (il 22 agosto in “Quanti pensano…”), Gianfranco D’Angelo (il 24 agosto in “A tu per tu – tutto su mio padre”), Nduccio (il 25 agosto in “La gente sta esaurita!), Gene Gnocchi & Band (il 26 agosto in “Sconcerto Rock Recital”), Marco Marzocca e Stefano Sarcinelli (il 27 agosto in “Tutto Ariel”), Paolo Migone (il 29 agosto in “Rexital”), Antonio Rezza e Flavia Mastrella (il 30 agosto in “Fratto X”), di nuovo Maurizio Mattioli (stavolta con Pietro Romano in “Il Conte Tacchia” il 2 settembre) e inoltre 16 agosto Frozen in “La regina dei ghiacci” e Violetta in “Il sogno di Violetta”. Gli spettacoli iniziano alle ventuno e trenta e l’ingresso si trova in via di Ponte Salario 28. Il botteghino è aperto tutti i giorni dalle 18 alle 22 e per le  informazioni sui prezzi si può telefonare a Ticket One al 3492430386. Sono presenti inoltre bar, gelateria, stand gastronomici e commerciali.

Alessandro Pino

Distrutto dalle fiamme un camper a Settebagni

4 Ago

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Era una presenza familiare a Settebagni – Terzo Municipio di Roma Capitale – venendo da tempo parcheggiato nel pomeriggio in uno slargo sulla Salaria vicino all’uscita dal quartiere e rimanendovi tutta la notte: un vecchio camper su base Ford Transit che avrà avuto una quarantina di anni. Questa mattina è stato trovato così, completamente divorato dal fuoco. Sembra che tutto sia avvenuto in silenzio e senza che nemmeno si percepisse il caratteristico puzzo di plastiche bruciate.

Alessandro Pino

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Maestà e sfacelo a Roma: passeggiata forzata di due inviati poco speciali

3 Ago

Venticinque giugno, ultima puntata di della trasmissione radiofonica “RomaChiama 88.100”. Servizi registrati di Alessandro Pino e collegamento in diretta telefonica da piazza del Campidoglio per Luciana Miocchi, c’è un flash mob pro Marino da seguire, nel bel mezzo dei giorni più bui per il Sindaco chirurgo, il cui governo rischia di essere travolto dagli strascichi dell’inchiesta su Mafia Capitale. La scelta non si rivela felicissima: quello stesso giorno è previsto uno sciopero del trasporto pubblico, con tanto di fasce di garanzia, per cui le persone si affrettano ad arrivare e andare via prima che i mezzi spariscano di nuovo. Il Pino non si lascia sfuggire l’occasione di un giro nella città eterna e, libero al momento da altri impegni, si presta a dare una mano. Bloccati in qualche modo alcuni attivisti, anche loro con il problema di tornare a casa la diretta viene portata a termine. Un’esperienza elettrizzante, per alcuni versi. Ma la vera avventura comincia dopo, quando già si era avuto un assaggio girellando nei dintorni della piazza..

Quello che segue è il resoconto della stessa avventura, vista da occhi diversi, da teste che non potrebbero che essere agli antipodi.

Un uomo non si perde nelle sfumature, bada alla sostanza  –  Alessandro Pino:

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Pubblicità invadenti all’orizzonte

“Questo è il resoconto di una passeggiata  tra i due volti di Roma, oggi: uno splendore antico che lascia ammutoliti ed è introvabile altrove, mortificato da una decomposizione morale e materiale giunta a livello tale che se non si fa qualcosa – qualunque cosa – per innescare una rigenerazione finirà per sommergere tutto. Un percorso iniziato da piazza del Campidoglio e terminato a Prati una sera di fine giugno, dopo un collegamento in diretta per l’ultima puntata della prima stagione di Roma Chiama 88.100, trasmissione radiofonica con la quale abbiamo collaborato nel ruolo di inviati. Mezzi pubblici non ce n’erano a causa dell’immancabile, beffardo sciopero del venerdì e la fascia oraria di garanzia era terminata. Ci consultiamo rapidamente e conveniamo di lasciare perdere i taxi e tornare a piedi, un po’ per l’euforia della nuova esperienza da giornalisti radiofonici che ha esaltato entrambi, un po’ perché nessuno dei  due vuole ammettere con l’altro (“e che saranno mai cinque chilometri…”) di essersi ridotto fisicamente un rottame. Dunque ci incamminiamo alla luce nitida del crepuscolo, dando un ultimo ampio sguardo con le spalle alla statua di Marco Aurelio. E già qui lo stato di grazia (o quasi) viene messo alla prova da una schiera di bagni chimici in plastica rossa posizionati quale graziosa sorpresa al termine del colonnato dei Musei Capitolini. Scendiamo la scalinata, da lì prendiamo via delle Botteghe Oscure svoltando in via Arenula verso il Lungotevere e da lì in direzione di Prati, tra marciapiedi sconnessi, invasi dal fogliame e dalle cartacce, poco o per niente illuminati ma soprattutto in mezzo alla tangibile, percepibile presenza di una umanità disastrata, che è stata fatta arenare nell’Urbe e poi lasciata allo sbando:  tracce di feci umane, zaffate di orina e del vomito di chi deve aver rimesso anche l’anima dopo essersi scolato chissà quale intruglio dozzinale.  Ogni tanto una sosta (per sentire con gli auricolari qualche passo della trasmissione e anche per riprendere fiato…)  ma guardandoci attorno con circospezione, perché è inutile negare l’evidenza: ogni angolo può nascondere un pericolo, un aggressore che non ha niente da perdere anche nei pressi di luoghi che per prestigio dovrebbero essere – forse un po’ ipocritamente – immuni da tutto ciò. Invece scopri che le periferie non hanno l’esclusiva dello sfacelo (ci siamo proposti di adoperare il meno possibile l’abusatissimo termine “degrado”). Di tutto ciò magari non ci si rende conto chiusi nell’abitacolo della propria automobile: nessuna retorica a favore della bicicletta, per carità, si tratta semplicemente di calarsi fisicamente dentro queste situazioni per riuscirle a cogliere appieno. Del resto è quello che ha reso (tristemente) popolari un sito con pagina Facebook annessa il cui nome dice impietosamente che la città fa schifo. La marcia intanto prosegue, superiamo  una lunga fila di automezzi posizionati per un set cinematografico e arriviamo al ponte Umberto I soffermandoci per qualche scatto con la reflex: il gioco delle luci del Cupolone e dei riflessi nel Tevere è affascinante, molto meno il gigantesco telo pubblicitario affisso su un palazzo e che per forza risulta inquadrato ma soprattutto il solito mercatino di borse contraffatte e di ciarpame – vedasi aste per i selfie con il telefonino –  che non chiude mai e prospera in bella vista alla faccia della legalità. Certo che se nessuno comprasse alcunché la questione nemmeno si porrebbe. Del barcone semiaffondato nel fiume e degli  accampamenti sugli argini di persone che in qualche modo si procureranno da vivere, anche diventando predatori, nemmeno ne parliamo. Scavalcato il ponte ci si avvicina alla ambita mèta, le fauci riarse vengono ristorate da un brindisi con Coca gelata – avevamo resistito fino a quel momento per non farci spennare dai locali dall’aspetto pericolosamente  turistico incontrati più in centro – e anche alla radio arriva il momento dei saluti mentre sopra le nostre due teste si accende già la lampadina delle idee brillanti: quella da cui è nato l’articolino che state leggendo”.

Una donna nota il particolare – Luciana Miocchi:

“di tanti giorni per manifestare la solidarietà al Sindaco, gli attivisti vanno a scegliere proprio quello che han meno possibilità di funzionare, uno in cui c’è lo sciopero dei mezzi pubblici. La fascia di garanzia termina proprio quando dobbiamo andare in onda. Vabbè, che non si dica che non sono una tipa adattabile. Qualche problema nel far rimanere le persone che interverranno, mica tutti son votati alla scarpinata, pure se si tratta di difendere il Sindaco o di cogliere l’occasione ghiotta di insolentirlo via etere. In attesa della diretta con la radio mi guardo intorno: una coppia di sposi, lui in alta uniforme, lei con il reggiseno che spunta irriverente dalla scollatura sulla schiena. Sorrido, immaginando che il neo marito per non metterla in imbarazzo gli sta facendo fare il defilè della vita in condizioni quasi comiche, fortuna che i romani ormai sono abituati a tutto…li accompagno con gli occhi fin sotto il colonnato dei musei capitolini e la mia attenzione passa dal vestito della sposa ….alla linea di bagni chimici posizionati alla fine delle colonne. Rossi con un cuore rovesciato gigante e marca ben evidenza. Uao. Sullo sfondo una cascata di edera. Penso che questa la devo fotografare, a raccontarla si rischia di non essere creduti. Vero che quando scappa scappa ma…avrebbero potuto incartarli, mimetizzarli, colorarli di verde, chessò.

In fondo al colonnato, una sorpresa...

In fondo al colonnato, una sorpresa…

Lo dico a Pino, mi guarda come se gli avessi segnalato Marino vestito da antico romano, poi si convince ad andare a guardare e alla fine scatta raffiche di foto come solo un turista giapponese. Ci guardiamo perplessi, osserviamo la copia del Marc’Aurelio che sembra indicare il drappo della mostra: raffigura un enorme leone di marmo con le fauci aperte. Titolo: l’età dell’angoscia. Già questa bastava a stendere un armadio ma noi non ci scomponiamo. Sapevamo che fare la diretta da qua avrebbe comportato l’eroica missione di fermare un taxi a Roma in un giorno di sciopero o farsela a piedi per qualche chilometro o anche, sfidare la sorte aspettando qualche bus superstite. Stamattina ho lasciato la macchina in via Damiata, a Prati. Ma cosa vuoi che sia mai una passeggiata lungo il Tevere, in centro, all’imbrunire in una sera d’estate rinfrescata dal venticello romano… evitiamo i bar per turisti ma non schiviamo le strisce pedonali sbiadite, perfino sotto l’altare della Patria. Roma vista girando a piedi , senza fretta, indigeni tra i turisti. Quasi un esperimento sociologico. Cominci a distinguere la diversità di sguardo del barista a seconda se ti giudica romano o visitatore, l’impercettibile cambio nei gesti e nel tono delle parole. Già all’altezza di Largo di Torre Argentina la premiata ditta ha perso la voglia di scherzare, le buche e la segnaletica scolorita, unita ad una certa sporcizia generale dei marciapiedi riescono a creare un’atmosfera sinistra, che per nulla si addice a quella che un tempo era stata la caput mundi. Percepisco un qualcosa, un lieve fastidio a cui non so dare un nome preciso ma decido di ignorarlo, sfiorata dalle centinaia di turisti che imperterriti camminano intorno a noi.

Ogni tanto ci fermiamo ad ascoltare il resto della trasmissione dividendoci gli auricolari. Sarà la suggestione di quello che viene detto, degli sviluppi delle indagini…ma ci guardiamo in faccia e senza aver nemmeno bisogno di parlare concordiamo che si, l’atmosfera non è delle migliori. È che abitiamo in periferia e siamo abituati a sentire giustificazioni del tipo che Roma è troppo grande, che i quartieri più lontani è nell’ordine delle cose siano peggio serviti, come se i loro abitanti avessero fatto qualcosa per meritare meno attenzioni e servizi. Forse ce ne siamo perfino convinti un po’. Perciò, quando notiamo che in terra ci è un fitto tappeto di foglie secche, ricordo del passato autunno, che i marciapiedi sono sconnessi e la segnaletica sparita ne rimaniamo colpiti più che in altre occasioni. Sul lungotevere sembra quasi di partecipare ad una via crucis: lastre dissestate, ampie porzioni al buio, foglie, bottiglie rotte e di plastica spesso consumate dal sole. Slalom tra le macchine parcheggiate ad mentula. Immondizia varia. Più o meno puzza di piscio in ogni dove.

Vi fermate in centro per un caffè?

Vi fermate in centro per un caffè?

All’altezza di Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, mi scappa un’imprecazione, colpa del naso troppo raffinato: nel florilegio di aromi che non dovrebbero essere presenti nell’ aria il mio olfatto sembra registrare il tanfo insopportabile di minestra inacidita, vomito e…merda. Il Pino mi canzona un po’, perché ho usato proprio quella parola, per lui troppo radical-chic ma poi conferma che il mio fiuto ha colpito nel segno, indicandomi per giunta un angolo dove è apparecchiato un rudimentale tinello con tanto di posate, pentolino e macchinetta per il caffè. Tra le macchine parcheggiate un cumulo coperto di foglie e fazzolettini indica la toilette. Quasi un chilometro di lungotevere occupato da un set cinematografico. Luci e teloni modificano l’atmosfera, illuminano gli spazi, riempiono con la finzione una realtà fatta di silenzi, passi frettolosi e guardinghi, buio e puzza. Pochi metri più in là, su uno dei tanti ponti di Roma, decine di turisti si fermano a fotografare la suggestione dei monumenti che si specchiano all’imbrunire nelle acque del Tevere, attorniati da venditori di bastoni per i selfie. File di bottiglie e cocci di vetro. In acqua, ciò che resta di un barcone semiaffondato. Lungo gli argini accampamenti di fortuna. Pubblicità invadenti all’orizzonte. Subito dopo il ponte ricomincia il buio. La trasmissione continua, noi seguitiamo a guardarci a tratti in faccia, in un silenzio che dice più di mille parole: ci sembra di attraversare un incubo, un orrido sfregio ad una città che nonostante tutto è un richiamo irresistibile per i turisti di tutto il mondo, vengono a vedere quel che è stato realizzato fino al secolo scorso, noi ai posteri stiamo consegnando solo la decadenza, l’implosione, la barzelletta che si ripete uguale ad ogni evento importante: progetti, soldi, mazzette, lavori fantasma, rincorsa agli ultimi giorni pre manifestazione, scandali, magistratura. Sono anni che funziona così. Ora però sembra proprio che la stessa Roma si sia trasformata in una sorta di corpo morente, rassegnato alla cancrena e a vedersi morire un po’ ogni giorno: quali speranze può avere una capitale in cui perfino dietro ai palazzi del potere si respira l’aria fetida del peggiore vespasiano, dove  le strisce pedonali non si vedono ma si intuiscono anche sotto al Campidoglio, dove i cassonetti traboccano dalla periferia più remota al centro storico, dove puoi ritrovarti a passare accanto ad una fila di panchine trasformate in monolocali, giardini pubblici adibiti a stenditoi, testimoni della presenza di esistenze ai margini sempre più numerose.

Risaliamo Prati fino a piazza Cola di Rienzo, dove ci fermiamo ad un bar che non serve solo i turisti ma anche residenti e chi lavora nei numerosi uffici. Seppur vicina al Vaticano, questa è una zona più defilata, in fin dei conti tranquilla. Negli ultimi tempi c’è stata l’esplosione dei localini e delle pizzerie, con i tavoli lungo i marciapiedi che durante la bella stagione si riempiono di gente. Le luci degli esercizi

mai titolo fu più azzeccato...

mai titolo fu più azzeccato…

commerciali danno una bella mano, nelle vie dove ce ne sono di meno la fa da padrone il solito buio e il solito tanfo. Anche qui, la segnaletica orizzontale si segue a memoria, nella speranza di non sbagliarsi e la raccolta differenziata s’è fatta anarchica: spesso compaiono pezzi d’arredamento e altri ingombranti vari accanto ai cassonetti, come se Ama non garantisse il ritiro a domicilio, come se in molti avessero perduto il senso del decoro e del vivere civile.

Finalmente giungiamo all’auto, parcheggiata nei pressi del Tribunale Civile. Abbiamo fatto bene ad incamminarci a piedi, durante il tragitto abbiamo incontrato si e no tre autobus per di più dopo un’ora di marcia, quando eravamo ormai quasi arrivati a destinazione. Abbiamo consumato le suole come i bravi cronisti di una volta. La trasmissione è appena finita, sui ringraziamenti di Enrico Pazzi ai collaboratori giro la chiave di accensione. Roma chiama. Chissà se prima o poi qualcuno risponde”.

Luciana Miocchi e Alessandro Pino

Riciclo urbano da (finto) autovelox a fioriera – di Alessandro Pino

2 Ago

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Sparsi lungo alcune vie del Terzo Municipio di Roma Capitale, si trovano ancora i resti di un progetto mirato alla sicurezza stradale che fece discutere all’epoca della sua attuazione, risalente a tre anni fa circa: si tratta delle colonnine del “Velo Ok”, in pratica dei cilindri in plastica arancione posizionati a bordo strada che potenzialmente avrebbero potuto contenere un autovelox fungendo così da dissuasore. L’idea di fondo era che installandoli in massa avrebbero costretto i conducenti a rispettare i limiti di velocità, non sapendo o meno se ci fosse stato davvero l’apparecchio per le multe all’interno.
In realtà andò che le colonnine furono oggetto di ripetuti atti di vandalismo, finendo spesso con la parte superiore sradicata dalla base e gettata a terra.
Una di esse fu posizionata proprio davanti all’isola ecologica Ama di via della Bufalotta e non ha avuto sorte diversa dalle altre: unica differenza, il riciclo in fioriera (anche se contiene solo una striminzita piantina) con tanto di lapilli drenanti attuato da mani pietose quanto forse spiritose.

Alessandro Pino