Tag Archives: Penelope Giorgiani
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Sarà forse Alessandro Pino il prossimo James Bond?

24 Nov

[ROMA] Dato ormai per certo che l’attore britannico Daniel Craig abbia dato l’addio al ruolo di James Bond 007, si sono quindi ufficiosamente aperte le candidature per raccoglierne il testimone di agente segreto più famoso del mondo.

Prima ancora che inizino a fioccare nomi noti della celluloide tra i papabili, ne é spuntato uno che più a sorpresa non si può: é il nostro Alessandro Pino, il giornalista più balsamico che ci sia.

Il Pinetto Nazionale, combinandone una delle sue, ha appunto formalmente inviato via mail la propria candidatura alla Eon Production nel Regno Unito e alla Metro Goldwyn Mayer negli Usa, vale a dire le due Case di produzione della serie.

In attesa di eventuali risposte da Oltremanica e Oltreoceano, facendo finta di sorseggiare un vodka Martini agitato e non mescolato (essendo notoriamente astemio) Alessandro ha commentato così: «Ammesso che la mia domanda non sia finita nella casella spam dei destinatari, almeno ho garantito un paio di minuti di sghignazzi agli incaricati al ricevimento, anche se sicuramente ridevo ancor di più io mentre la battevo. Comunque età e faccia tosta corrispondono a quelle richieste, quindi un paio di requisiti almeno sono soddisfatti in partenza; e poi se 007 lo ha interpretato pure George Lazenby, perché io non potrei?».

Ma non solo: non pago della bravata, Alessandro ha mandato anche la candidatura della nostra Luciana Miocchi per il ruolo di “M”, il capo del servizio segreto, che già fu di Dame Judi Dench (oggi ottantasettenne): «Tanto piú o meno sono coetanee e già sono abituato a sentirla strepitare come titolare del blog- conclude l’aspirante agente al servizio segreto di Sua Maestà- di lì a dover subire il suo bullismo anche come boss del MI5 il passo è breve. In ogni caso, vada come vada, potete chiamarmi Zerozeropino».
Penelope Giorgiani

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Intervista ad Andrea Lepone, giornalista, scrittore e atleta – di Penelope Giorgiani

8 Mar

 

 

Foto - Andrea con libroAndrea Lepone, giornalista, scrittore e atleta, parla del suo ultimo libro, “Riflessioni in chiaroscuro”, pubblicato da La Macina Onlus Editore, e dei suoi progetti futuri.

Andreaparliamo del tuo ultimo libro, la raccolta di poesia “Riflessioni in chiaroscuro”, quali sono le tematiche trattate nelle tue liriche?

Sono diverse tematiche, quella predominante è certamente quella relativa all’esistenzialismo. Poi ci sono pensieri e riflessioni di stampo più filosofico, psicologico e naturalistico, delle vere e proprie visioni della realtà anticonvenzionali.

Perché hai scelto proprio questo titolo?

Perché riassume al meglio il concetto finale del libro, ossia una perfetta mescolanza di poesie che indagano sugli orizzonti di luce e sui coni d’ombra della vita di ciascuno di noi.

Da cosa hai tratto ispirazione per la stesura di questa raccolta poetica?

Dalle mie esperienze e dalla tante domande che mi pongo ogni giorno, sono una persona molto curiosa.

Quanto può essere difficile al giorno d’oggi affermarsi nel mondo della letteratura, soprattutto per un ragazzo giovane come te?

Difficile ma non impossibile, l’importante è rimboccarsi le maniche e impegnarsi assiduamente ogni giorno per migliorare. Servono disciplina e forza di volontà, soprattutto in ambito prosaico-narrativo. Poi ovviamente, entrano in gioco il talento e l’abilità dell’autore.

Devo chiedertelo… La tua poesia preferita?

La mia poesia preferita è “Roll the dice”, di Charles Bukowski, seguita da “Spesso il male di vivere ho incontrato”, di Eugenio Montale.

Recentemente hai vinto il premio “Le Ombre di Monteselva”, riservato al miglior racconto thriller/poliziesco, pensi di dedicarti a tempo pieno anche alla prosa oltre che alla poesia?

Certamente, a breve sarà pubblicato il mio primo romanzo, cui seguirà un altro racconto di genere thriller/poliziesco, e tra qualche mese andrà in scena la mia prima commedia teatrale.

Come riesci a conciliare l’attività giornalistica con quella scrittoria?

Diciamo che uso semplicemente un approccio differente, più analitico per quanto concerne l’attività giornalistica, più riflessivo per quanto riguarda l’attività scrittoria. Nella tua vita anche lo sport ha un ruolo fondamentale, pratichi infatti powerlifting a livello agonistico da molti anni. Ti stai allenando per qualche competizione al momento?

L’obiettivo principale della stagione sono i World Games CSIT che si svolgeranno in Spagna, poi chiaramente ci sono Campionati Italiani e Coppa Italia. Spero di riuscire a prepararmi in modo adeguato per queste gare, nonostante i tanti impegni.

Penelope Giorgiani

 

Quel Babbo Natale di Alessandro Pino alla scuola materna di Porta di Roma

23 Dic

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Babbo Natale è arrivato in anticipo alla scuola materna di via Adolfo Celi (zona Porta di Roma, Terzo Municipio della Capitale). I bambini e i loro genitori hanno infatti ricevuto la visita del ciccione rossovestito la mattina dello scorso 22 dicembre per l’usuale distribuzione di piccoli doni organizzata dalle maestre. A impersonarlo – come già accaduto in precedenti occasioni – è stato il nostro giornalista Alessandro Pino: 《Sono stato lieto di accettare l’invito delle maestre ed essere ancora Babbo Natale – spiega – l’unico inconveniente è stato rendermi conto che stavolta non mi serviva il cuscino per simulare la panza…》.
Penelope Giorgiani

Tg Good News: solo buone notizie dal Terzo Municipio – di Penelope Giorgiani

16 Lug

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È nata una nuova iniziativa nel campo dell’informazione locale del Terzo Municipio della Capitale: Tg Good News, il primo telegiornale di sole buone notizie, visibile sulla web tv Good News Channel
( http://www.tvgoodnews.it ) e con una pagina Facebook dedicata. In studio a condurre le puntate c’è il simpatico Farshad Shahabadi  mentre gli inviati sul campo sono i giornalisti Donatella Briganti (firma dei settimanali Oggi, Visto e Diva & Donna) e il nostro Alessandro Pino, con la parte tecnica affidata all’operatore video  professionista Fabrizio Pudda. L’idea all’origine di Tg Good News è quella di dare visibilità alle realtà virtuose  e alle persone legate al territorio del Terzo Municipio che si siano distinte in positivo nei rispettivi ambiti, evitando le troppe brutte notizie che già deprimono il pubblico diffondendo positività.
Penelope Giorgiani

Siamo in Italia – di Penelope Giorgiani

30 Dic

Succede ogni tanto di avere una mattina libera e…invece di dedicarla alla ricognizione dei miei negozi preferiti in vista dei saldi, trascorrerla in giro per uffici pubblici sbrigando pratiche per conto di due amici un po’ pasticcioni. «Si può mettere là a compilare i moduli», mi fa senza nemmeno simulare un minimo di cortesia una sportellista simpatica come un brufolo sul culo – una tipo la Sora Lella dopo aver fatto colazione con sei litri di yoghurt magro al limone, per intenderci – accennando con la testa a una scrivania di ferro con il piano di finto legno. Rispondo con uno dei miei sorrisi che richiedono il porto d’armi e contando fino a dieci (ma anche venti, trenta…per fortuna i numeri sono infiniti altrimenti uno di

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questi giorni sarebbero guai) mi avvicino a quel residuato degli anni Settanta, perfettamente coordinato al pavimento in gomma nera a bolle. Lì mi sono resa conto sogghignando amaramente del livello di imbarbarimento che abbiamo raggiunto in Italia: sul tavolo, forbici e il pennello del barattolo di colla assicurati alla struttura con una catenella, certo niente di indistruttibile ma abbastanza per dissuadere i manolesta di turno (davvero disperati per ridursi a fregare oggetti del genere) dal portarsi a casa un bottino sì ghiotto. Mentre da brava incollavo le fototessere ai fogli dopo averle ritagliate (altro che il tizio di Art Attack), mi sono chiesta quanti pennelli e quante paia di forbici si fossero volatilizzati prima che qualcuno dell’ufficio prendesse l’iniziativa di assicurare il tutto in quel modo che a prima vista sembra una goliardata di cui sorridere ma se ci pensi un secondo in più ti fa solo incazzare. Nemmeno serve scomodare il ricordo sempre più surreale di una gita a Vienna, dove i quotidiani a pagamento stanno appesi in buste di plastica ai pali della luce con sopra una cassettina in cui inserire gli spiccioli e nessuno si azzarda a prendere quanto non gli spetti. Qui da noi si fregano pure i pali: siamo in Italia.
Penelope Giorgiani

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Miss Italia fa benissimo a dire cazzate – di Penelope Giorgiani

22 Set

Premetto che non guardo concorsi di bellezza  – femminili…per quelli dei maschietti faccio volentieri un’eccezione-  da quando alle medie fui eletta mio malgrado come la più cozza della scuola (poi ho fatto come il brutto anatroccolo e chi ha da obiettare qualcosa al riguardo è un uomo morto) per cui non ho seguito in tivù l’elezione della nuova Miss Italia, Alice Sabatini. Ne ho però letto parecchio il giorno dopo per via della risposta da lei fornita quando le è stato chiesto dalla giuria in quale periodo storico le sarebbe piaciuto vivere: perché da alcuni anni mi dicono si usi così, non basta la bellezza ma occorrePENELOPEmissitalia anche superare dei test di cultura generale, personalità e intelligenza, principio in base al quale  uno schianto di ragazza ma semianalfabeta e con il cervello come un cecio ammuffito dovrebbe essere messa alla porta senza passare dal via. Alice dunque ha risposto “Nel 1942 per vedere la Seconda Guerra mondiale” aggiungendo  “tanto sono donna quindi il militare non l’avrei fatto”. Apriti cielo, è iniziato automaticamente il massacro sui social (asocial in questi casi) network, la gogna telematica, il perculamento internettaro a base di fotomontaggi nei quali appare in scenari di guerra o al fianco di Hitler e Mussolinie, il festival dei commenti al curaro: me l’han fatta diventare simpatica al punto che non ci ho visto più ed eccomi qui a difenderla. Dunque, non ci trovo niente di cui scandalizzarsi per più di un motivo: in primis, una domanda cretina – per di più posta da illustri membri dell’Accademia Reale delle Scienze Svedese quali Claudio Amendola, il cuoco Joe Bastianich, Vladimir Luxuria e tal Massimo Ferrero meglio noto come “er Viperetta” – merita una risposta dello stesso livello. In secondo luogo, casomai avesse risposto che avrebbe voluto sì vivere durante la Seconda Guerra Mondiale ma per combattere da partigiana nella Resistenza, allora gli stessi che oggi strepitano scandalizzati si sarebbero masturbati a spruzzo e non solo per l’indubbia bellezza della neo miss. Da ultimo, ripeto che in un concorso di bellezza quella dovrebbe contare e basta, quindi se una risponde che le sarebbe piaciuto vivere nel Paleolitico, nel Medio Evo o appunto durante la Seconda Guerra saranno cazzi suoi, fa bene anzi benissimo e il resto sono solo chiacchere astiose di cessacci ambosessi che sanno soltanto vomitare bile di fronte a una miss davvero bella e una volta tanto con i capelli corti. Insomma, se  viene chiesto di essere decorativi, dove sta scritto che si debba anche dare prova di eccellenza intellettuale? Per quella ci sono altri tipi di concorsi nei quali per converso non si chiede ai partecipanti di essere bonazzi. Insomma, se sono decisa a divertirmi senza impegni ulteriori con un giovanotto perchè mi piace fisicamente non mi ci metterò a a discutere dei riti funebri in uso nelle tribù Bororo e nemmeno gli chiederò le tabelline. Detto questo, giuro solennemente che mai più mi occuperò di Miss. Certo, se qualcuno mi vuole invitare come presidentessa della giuria di un concorso per giovanotti palestrati mica dico di no…

Penelope Giorgiani

Amiche che scrivono e poi si vergognano – di Penelope Giorgiani

16 Dic
(pubblicato su http://www.di-roma.com)

La vostra Penelope torna per una recensione “irritante” sull’argomento che più le sta a cuore

Quando una amica, giornalista locale, si scopre piccante scrittrice

(e il suo scritto viene anche pubblicato e premiato in un concorso letterario!)

Sembra che ormai da un paio di anni una buona metà degli italiani si sia scoperta appassionata di cucina, pasticceria o scrittura; in alcuni casi qualcuno unisce le tre modalità provando a scrivere di muffin e costolette, con risultati indigesti anzi tossici su entrambi i fronti, letterario e culinario. Non passa settimana senza che io stessa riceva almeno un invito a una cena organizzata da amici insospettabili fino al momento in cui si rivelano temerari emuli di Cracco o alla presentazione di una raccolta di poesie: e se nel primo caso mal che vada te la cavi con una bustina di Alka Seltzer, nel secondo si può star certi che si tornerà a casa forniti del volumotto in brossura d’ordinanza, ben più difficile da digerire e spesso utilizzabile come fermaporta.

Mi capita poi la settimana scorsa di incontrare casualmente in centro la mia amica Luciana, che come sempre ha qualche libro che le spunta dal secchiello (dice che soffre di acquisto bibliocompulsivo); io non manco mai di sfilarglielo con mossa da borseggiatrice provetta per dare una sbirciata alla copertina e così ho fatto anche stavolta mentre, sedute al tavolino del caffè di via Crescenzio, è distratta dalla scelta tra un bignè al cioccolato o alla crema (alla fine li abbiamo presi entrambi, se interessa).

Autori Vari – Scrivendo racconto, editore Historica, così recita il frontespizio su panorama di tetti romani. Una raccolta di racconti, si direbbe; inarcando un sopracciglio indagatore (appena sistemato dall’estetista, tengo a precisare) mentre l’amica assume tutto il campionario delle espressioni di imbarazzo-finto-modesto, scorro il sommario leggendo titoli e nomi di questi autori vari, sogghignando quando arrivo (come sospettavo) a Un caffè e una margherita – di Luciana Miocchi.

Altra occhiata altrettanto rapida alla quarta di copertina e scopro che la imbarazzata-finta-modesta ha partecipato con un brevissimo racconto a un concorso letterario assieme a più di altri quattrocento testi, tra i quali ne sono stati selezionati centoventi incluso il suo. «Questo è sequestrato fino a lettura completata – le notifico intascando il libro nel mio zainetto – così impari a non farmi partecipe dei tuoi successi editoriali», come se io non sapessi che mi considera – come detto sopra – un po’ prevenuta verso premi letterari che a volte servono solo a spillare spese di iscrizione agli speranzosi concorrenti (mi assicura di non aver tirato fuori un cent per partecipare, braccina com’è, anzi, che la pubblicità di Scrivendo Racconto specificava l’assoluta gratuità dell’iniziativa).

Non mi ci è voluto molto a terminarlo, trattandosi anche di scritti (una quarantina, perché i centoventi vincitori sono stati divisi per aree geografiche) molto brevi e slegati tra loro, quindi senza necessità per il lettore di ricordare una trama più o meno complessa. Sembro di parte se dico che il testo da me più gradito è proprio quello della Lucy? Perché in mezzo a tutti è quello che si mantiene più aderente a una quotidianità interiore sperimentata da molti aggiungendoci un tocco di peperoncino che non guasta, così da renderlo pruriginoso il giusto senza però concedersi in descrizioni ginecologiche da olimpionici del materasso. Un po’ come quando la telecamera sfuma sul camino acceso mentre i protagonisti di un film vengono al dunque in camera da letto: gli spruzzi tipo idrante e i carpiati con avvitamento sull’asta preferisce lasciarli ad altri. Per me, abituata a leggerla di solito in veste di giornalista conosciuta (“Si, al massimo nel condominio” dice lei) come specialista in un tema grigio e noioso come la politica locale, è stata una sorpresa, devo ammetterlo.

«La politica non è noiosa – mi ha ribattuto poi al telefono, dopo aver evidentemente ripreso l’abituale piglio da sbruffoncella – è cronaca che va ben indagata e spiegata altrimenti si parla solo per partito preso. Questo è stato solo un gioco, per una volta è stato più facile e anche leggero scrivere una cosa totalmente inventata senza andar li a doversi documentare per essere precisi con gli avvenimenti. L’ho trovato divertente e rilassante. Poi è stato selezionato da Historica Edizioni e dalla rivista Scrivendo Volo per il concorso, ho anche il mio attestato in pergamena consegnatomi durante la premiazione (avvenuta collateralmente alla fiera “Più libri, più liberi – ndr) e me la tirerò un po’ passandoci davanti. Anche se sicuramente qualcuno malignerà che al massimo ci posso tirare le freccette».

Vigilantes, forze dell’ordine e pistole: l’opinione politically scorrect di Penelope Giorgiani

28 Mar

fotoPISTOLAOgni giorno nelle pagine di cronaca capita di leggere di rapine a mano armata perpetrate  ai danni di esercizi commerciali come banche e supermercati. A volte però capita che sul posto si trovi qualche appartenente delle Forze dell’Ordine fuori servizio il (o la) quale decide di intervenire e ne può nascere un conflitto a fuoco in cui magari i malviventi rimangono feriti o uccisi. Certamente si svolgono accertamenti su come sono andati i fatti ed è probabile che l’agente o il militare protagonista riceva un encomio o una medaglia, venendo indicato come esempio di dedizione e senso del dovere. Capita invece che l’epilogo sia ben diverso quando episodi analoghi hanno come protagonista una guardia giurata, un vigilantes come si dice spesso – sbagliando tra l’altro. Per chi fosse totalmente a digiuno di nozioni giuridiche in materia, si tratta di privati cittadini dipendenti da un istituto di vigilanza ai quali viene rilasciato un porto di pistola per esclusiva difesa personale  diversamente dalle Forze dell’Ordine che possono usare l’arma per attaccare (si pensi a una irruzione ad armi spianate durante un sequestro di persone). Che cosa accadrà alla guardia giurata  – fuori servizio come anche nello svolgimento dello stesso – che trovandosi in quella situazione si trova minacciata (o ritiene di esserlo) dalle armi dei banditi e fa fuoco? Una risposta eloquente può fornirla una semplice ricerca in rete, inserendo nel motore di ricerca le parole “guardia giurata condannata”. Si avrà così conoscenza di svariati casi nei quali l’epilogo di fatti del genere è stato un procedimento penale a carico dell’addetto alla sicurezza, conclusosi con una condanna a vario titolo (dalle lesioni all’omicidio volontario): il che vuol dire ingenti sanzioni pecuniarie (al punto da dover vendere casa), una pena detentiva (con il rischio di vendette in carcere da parte di delinquenti abituali) e ovviamente la perdita del lavoro (venendo meno il requisito della condizione di incensurato) oltre alle spese per l’avvocato. Uno degli episodi più recenti è stata la condanna a un anno di reclusione e al pagamento di diecimila euro inflitta alcune settimane fa a una guardia giurata triestina che durante una rapina – avvenuta qualche anno prima – aveva sparato all’automobile dei banditi, uno dei quali era rimasto ferito dai frantumi di un finestrino e si era costituito parte civile. Notizie simili lasciano puntualmente interdetta parte dell’opinione pubblica che le percepisce come una presa in giro, una giustizia al rovescio con i rapinatori che appaiono premiati da un risarcimento e il vigilante punito severamente oltre che segnato drammaticamente  sia dal conflitto a fuoco che dal lungo processo, vissuto come un vero calvario da chi non è avvezzo a frequentare il banco degli imputati. Chi è più addentro ai tecnicismi  tribunalizi obietta invece che ci saranno stati procedimenti separati – una cosa è la rapina e un’altra la reazione a fuoco – che quello riguardante la guardia giurata era in pratica un atto dovuto al verificarsi di certi presupposti e che il giudice ritenendone spropositata la reazione armata ha solo applicato la legge: per farla breve, insomma, avrebbe fatto bene a condannare il vigilante. Il fatto è che il giudice in quanto tale (si tralascia qui il discorso sulla pubblica accusa, forse troppo spesso incaponita a ottenere condanne) non è un distributore automatico di sentenze, è un essere umano – si suppone preparato – ma proprio per questo non è onnisciente (quindi classifica determinati avvenimenti senza avervi assistito) e soprattutto può essere formato in base a una cultura per la quale l’uso delle armi da fuoco da parte di chi non fa parte delle Forze dell’Ordine equivale sempre e comunque a una “giustizia fai da te”, una sorta di Far West che va contrastato a prescindere dall’emergenza nella quale si fosse trovato chi ha premuto un grilletto. Purtroppo analizzare e scomporre un fatto a freddo è una cosa, trovarsi coinvolti nella concitazione dello stesso – in cui le azioni si accavallano frenetiche – un’altra. Gli addetti ai lavori sosterranno che qualcuno dovrà pur prendere una decisione. Ma forse, pensano l’uomo e la donna della strada, a stridere col buon senso e a suonare stonato non è solo la sentenza di condanna ma lo stesso processo nato da un episodio criminoso il cui autore non era certo la guardia privata.

Penelope Giorgiani

“I due marò”, il tormentone del momento – il punto di vista di Penelope Giorgiani

14 Mar


Quello che potrebbe sembrare il titolo di un film con Franchi & Ingrassia – “I due marò” – è invece il tormentone che sta tenendo banco alla grande nei notiziari e in rete. La vicenda a cui ci riferiamo, per chi vivesse su Marte o in un eremo, è quella dei due fucilieri di Marina detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori del luogo dopo averli scambiati per pirati all’arrembaggio del mercantile su cui erano imbarcati come scorta armata. È iniziato così in rete  un tam tam di patrioti da social network per salvare l’onore nazionale e far rientrare in Italia “i nostri marò”, altra espressione abusatissima negli ultimi giorni e, per quel che ci riguarda, totalmente sballata: noi con gente che ha dichiarato di aver sparato dei colpi “di avvertimento” –  forse esagerando un secondattimo –  non vogliamo avere nulla a che fare. Ma certo, ci pare giusto: magari anche in tram si potrebbe prevedere come regola di ingaggio contro l’immigrato sudaticcio che sta troppo vicino un paio di ginocchiate “di avvertimento” nelle parti opportune, tanto per essere chiari e non avere fastidi. “I nostri marò”, termine che ricorda un po’  lo “zio Michele” di Avetrana, del quale noi non siamo né parenti né amici; quindi al più saranno “i vostri”. Giusto di passata poi vorremmo far notare la parentela di specialità dei due militari agli arresti con quelli di un corpo distintosi a suo tempo per ferocia,  la famigerata Decima Mas. Forse quello che ha dato fastidio a molti – magari gli stessi che protestano quando le motovedette libiche sparano ai pescatori di Mazara del Vallo –  è stata la lezione di civiltà impartita da un Paese a torto ritenuto arretrato, dove evidentemente la legge è davvero uguale per tutti e chi sbaglia paga o quantomeno ci si accerta se abbia sbagliato. Se qualcuno forse aveva confuso l’Oceano Indiano con via del Corso, dove gli sgherri delle scorte fanno il bello e il cattivo tempo agitando le palette a sirene spiegate, beh è arrivato qualcun altro a fargli capire che paese che vai, usanze che trovi. Nel concerto di ululati neorisorgimentali solo la voce di Giuliana Sgrena – una che può ben dire di avere rischiato la vita per l’imperizia di chi indossava una divisa – si è levata coraggiosamente in senso contrario. Ovviamente la replica è giunta nei medesimi civilissimi toni adoperati contro il paese di Gandhi: insulti, intimidazioni e malignità di ogni tipo, compresa la diffusione delle dolorose immagini di quando la giornalista fu rapita in Iraq. Per farla breve, abbiamo fatto la solita figura da mangiaspaghetti: non a caso il brillante risultato ottenuto dal rappresentante della diplomazia italiana è stato che ai due militari in prigione fosse servita della pastasciutta invece del cibo indiano.

Penelope Giorgiani

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